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Lo stile gotico: i fondamenti tecnici
L’architettura gotica nasce da una tecnica costruttiva sfociata nell’elaborazione della volta
ogivale. I caratteri di questo elemento ne determinano anche i meriti artistici:
l’impiego dell’arco a sesto acuto - che porta di più dell’arco a tutto
sesto perché il peso si scarica su determinati punti rinforzati (contrafforti,
archi rampanti) - fa si che la parete interposta possa ospitare grandi aperture
che danno luce e consentono di introdurre le vetrate policrome, mentre lo
slancio verticale invita ad accentuare l’altezza dei volumi interni. La
tendenza ad alleggerire le pareti e a esaltare la verticalità si è accentuata
a tal punto da provocare veri e propri disastri che, se avevano indotto a
maggior prudenza, non avevano tuttavia rimesso in discussione i principi
architettonici a fondamento del gotico. Lo stile, quindi, era funzione di una
tecnica che aveva dato origine a un gusto e introdotto nuovi criteri estetici.
Il ritorno allo stile
Il Rinascimento ripercorre questa via in senso inverso. Lo stile non dipende più dalle
possibilità tecniche, ma appare fondato su principi estetici di natura
superiore, su concetti astratti (la simmetria, la proporzione) e sull’uso di
un linguaggio rigorosamente regolato nel vocabolario e nella grammatica: il
sistema degli ordini. Identificando la bellezza col rispetto assoluto di tali
principi, e soprattutto proscrivendo l’arco acuto a vantaggio dell’arco a
tutto sesto - considerato di linea più pura - e dell’architrave orizzontale -
il solo consentito tra le colonne -, il Rinascimento rinuncia ai virtuosismi
tecnici dei maestri muratori medievali. Si ritorna alla volta a botte, a una
concezione costruttiva statica ove le murature sono sollecitate solo sulle
verticali, senza distribuzione di carichi, a una affermazione della massa
muraria come valore in sé. Si vieta ogni arditezza, come l’eccessiva
verticalizzazione dei volumi, l’alleggerimento della pareti e l’apertura
alla luce: la prima a farne le spese è l’arte vetraria.
La condanna del gotico
In questo senso l’architettura rinascimentale rappresenta un vero regresso; eppure, presa
com’è a condannare senza appello lo stile del tardo Medioevo, pare non
accorgersene. Lo stesso termine gotico viene usato per la prima volta in senso
spregiativo, per definire un’architettura portata in Italia da maestranze
tedesche. Spietato il Vasari, che si fa interprete dei pregiudizi largamente
condivisi tra gli artisti italiani: “i lavori tedeschi... son fuggiti... come
mostruosi e barbari: mancando ogni lor cosa di ordine... avendo fatto nelle lor
fabbriche, che son tante che hanno ammorbato il mondo, le porte ornate di
colonne sottili... le quali non possono aver forza a reggere il peso... E così...
facevano una maledizione di tabernacolini l’un sopra l’altro... e spesso per
mettere cosa sopra cosa... che la fine di una porta toccava loro il tetto.
Questa maniera fu trovata da goti... che girarono le volte con quarti acuti, e
riempirono tutta Italia con questa maledizione di fabbriche...”. Il rimedio?
Andare a lezione dagli Antichi.
Studiare i monumenti d’età classica: l’arte romana
Il fatto che il movimento del ritorno all’antico nasca in una città come Firenze, priva di
vestigia classiche, può sembrare un paradosso, ma se non altro serve a
ricordare che l’arte non dipende dall’opportunità. Dapprima Brunelleschi e
gli altri fiorentini, che propugnano l’idea di una rinascita, studiano alcuni
monumenti romanici in cui colgono, non a torto, un’ultima eco dei principi e
delle forme dell’arte antica: la basilica di San Miniato al Monte, con la sua
armonica facciata, ma soprattutto il tanto amato Battistero, il “bel San
Giovanni” di dantesca memoria, un grande edificio centrico ottagonale di
origine paleocristiana (V secolo) che fino al settecento si considererà un
antico tempio di Marte. Nel Battistero le membrature di un architrave si piegano
ad angolo retto, e si prolungano in verticale. Proprio in base a questo modello
Francesco della Luna modificherà il progetto brunelleschiano per la facciata
dell’Ospedale degli Innocenti. Lo stesso Brunelleschi, però, battuto dal
Ghiberti in occasione del concorso del 1401 per la porta nord del Battistero, si
reca a Roma con Donatello per studiare i monumenti secondo un costume che diverrà
imperativo nella formazione degli architetti.
Le antichità di Roma
In effetti Roma conservava ancora numerosi monumenti che sarebbero assurti a modello della nuova
architettura. Primo fra tutti il Pantheon, che, unico non ridotto ad un rudere
perché trasformato in chiesa (Santa Maria ad Martyres), offre un perfetto
esempio di pronao antico - un porticato colossale culminante in un frontone
triangolare - e di impianto centrale ideale - una rotonda sormontata da una
cupola. Il Colosseo, il Septizonio (dal latino septem, sette, e dal greco zòne,
cintura: un edificio di sette piani che si ergeva ai margini del Palatino) e, in
scala minore, il teatro Marcello forniscono all’architettura civile modelli di sovrapposizione degli ordini. Gli ordini vengono
studiati anche sulle vestigia dei templi del Foro, ma più per l’ornato
dei capitelli e per la trabeazione che per le proporzioni, perché la base
delle colonne a quei tempi è ancora interrata. Gli archi di Settimio Severo e
di Tito possono ispirare porte di città e ingressi monumentali. Le terme di
Diocleziano e di Caracalla, riportate alla luce nel corso del Cinquecento, e
anche la Basilica di Massenzio nel Foro svelano tutta la perizia di progetti che
combinano ambienti di forma diversa in mirabili simmetrie, e volumi colossali
culminanti in volte poderose. Le basiliche di Costantino offrono un esempio
memorabile della nobiltà del tipo basilicale con la bellezza dei lunghi
colonnati della navata e dell’atrio. Infine, la campagna romana e la via Appia
pullulano di tombe, tutte varianti della pianta centrale. Così l’Urbe, che
nel Quattrocento inizia i grandi toscani convertiti al Rinascimento, come
Brunelleschi, Francesco dal Borgo e Giuliano da Sangallo, diviene la meta di un
nuovo pellegrinaggio per architetti sia italiani (da Bramante a Palladio) sia
stranieri (dallo spagnolo Herrera al francese Delorme).
L’architettura del Rinascimento, come è implicito nel termine, è quindi un deliberato
ripristino delle idee e della prassi degli architetti dell’antichità classica
e si può effettivamente affermare che l’architettura rinascimentale è
romana, essendo rimasta quasi sconosciuta all’Europa occidentale fino al
Settecento l’architettura greca classica.
L’effetto prodotto sia da un edificio romano che da un edificio rinascimentale dipende da
sottilissimi adattamenti di semplicissime masse. Si basano entrambi sul sistema
modulare della proporzione. Il modulo è fissato nel semidiametro della colonna
alla sua base e l’insieme di un edificio classico dipende da questa
proporzione iniziale. Talvolta è il diametro ad essere fissato come criterio di
proporzionalità: in entrambi i casi non sono le dimensioni reali, ma la scala
ad avere importanza. Pertanto, se un tempio è basato su un colonnato di colonne
corinzie e ogni colonna ha un diametro di 2 piedi, il modulo sarà 1 piede,
l’altezza della colonna sarà approssimativamente di 18-21 piedi (poiché è lecita una certa variazione), e l’altezza della
colonna e del capitello determinerà l’altezza della trabeazione, e quindi
dell’edificio nel suo complesso. In maniera analoga, la lunghezza e la
larghezza dell’edificio saranno determinate dal modulo, poiché esso fissa non
soltanto la dimensione della colonna, ma anche - di nuovo entro certi limiti -
la quantità di spazio fra ogni colonna. Da ciò consegue che ogni particolare
di un edificio classico è in diretta relazione con ogni altro particolare, e in
pratica l’intero edificio è proporzionato al corpo umano, poiché
nell’antichità la colonna veniva concepita come simile al corpo umano e
spesso a esso proporzionata nell’altezza.
Oltre alla relazione fra le parti, l’architetto classico ricercava la simmetria e
l’armonia; quindi, progettando una parete nuda con tre finestre, egli avrebbe
avuto cura che l’altezza delle finestre fosse proporzionata alla sua
larghezza, che i vani delle finestre fossero aperti simmetricamente e che la
forma rettangolare della finestra avesse una relazione soddisfacente con la
forma della parete nel suo complesso. E’ perciò evidente la necessità di una
certa pratica per poter apprezzare la molteplicità, nell’unità, di questo
tipo di architettura ed è anche ovvio che, a un occhio sensibile, una cornice
più larga di soli dieci centimetri può essere disarmonica quanto una nota
sbagliata in un brano musicale.
Nell’Ottocento questo tipo di architettura fu avvolto in una fitta nube di condanna morale. Per
Pugin, Ruskin e molti altri erano cristiane le chiese costruite in stile gotico,
mentre gli stili classicisti non erano altro che tentativi di ripristinare forme
pagane. Le condanne più infervorate vennero da Ruskin, che nelle Pietre di
Venezia raggiunse il delirio:
Innanzitutto eliminiamo tutto ciò che concerne l’architettura greca, romana o
rinascimentale, in teoria o in sostanza... E’ meschino, innaturale,
improduttivo, non fruibile, empio. Pagano all’origine, fiero e profano nella
sua rinascita, paralizzato nella sua vecchiaia... un’architettura inventata,
come pare, per trasformare in plagiari i propri architetti, in schiavi i propri
operai, e in sibariti i propri abitanti; un’architettura nella quale
l’intelletto è ozioso, l’inventiva impossibile, ma nella quale ogni lusso
è gratificato, ogni insolenza rafforzata...
Geoffrey Scott, nel suo classico The architecture of Humanism, apparso nel 1914, mostrò
l’insensatezza del voler guardare l’architettura attraverso lenti
moralistiche. Purtroppo lo stesso Scott, pur demolendo elegantemente i vari
sofismi che impedivano di guardare all’architettura rinascimentale con occhi
sgombri da pregiudizi, cadeva nella trappola che si cela permanentemente dietro
al termine umanesimo. Nel Quattrocento per umanesimo si intendeva una cosa
ed una cosa sola: lo studio della letteratura greca e latina sia come lingua che
come letteratura. In esso non fu mai implicita una particolare posizione
teologica; anzi, sotto questo profilo, gli umanisti erano diversi gli uni dagli
altri quanto qualsiasi gruppo di persone. Tuttavia, gli umanisti italiani
condivisero tutti una grande passione: l’anelito nostalgico per la gloria
dell’Italia sotto i romani e per lo splendore della lingua latina. Gli artisti
che con loro ebbero rapporti finirono col provare le stesse emozioni per
l’arte antica che gli scrittori provarono per la letteratura latina; eppure un
attimo di riflessione basterà a mostrarci che né l’arte antica né la
letteratura romana sono omogenee, e le imitazioni che se ne fecero durante il
Rinascimento variano altrettanto profondamente. Vi è un brano famoso della
Lettera a Leone X sulla pianta di Roma antica, del 1519, che descrive
chiaramente come gli uomini del Cinquecento pur venerando la Roma antica si
sentissero in grado di emularla:
...Non ebbe adunche, padre Santo, esser tra gli ultimi pensieri di Vostra Santità lo haver
cura che quello poco che resta di questa antica madre della gloria et nome
Italiano, per testimonio di quelli animi divini, che pur talhor con la memoria
loro excitano et destano alle virtù li spiriti, che hoggi dì sono tra noi, non
sia extirpato in tutto... ma più presto cerchi Vostra Santità, lassando vivo
el paragone de li antichi, aguagliarli et superarli...
Perché di tre maniere di edificii solamente si ritrovano in Roma, delle quali la una è di
que’ buoni antichi, che durano dalli primi imparatori sino al tempo che Roma
fu ruinata et guasta dalli Gotti et da altri barbari... Che avegna che a dì
nostri l’architectura sia molto svegliata et veduta assai proxima alla maniera
delli antichi, come si vede per molte belle opere di Bramante, niente di meno li
ornamenti non sono di materia tanto pretiosa, come li antichi...
Se paragoniamo Palazzo Rucellai, eretto intorno al 1450, con la casa che Giulio Romano si
costruì a Mantova cento anni dopo, appare evidente che i due edifici hanno poco
in comune; analoghi paragoni possono essere fatti tra chiese a pianta centrale
come la Rotonda degli Angeli di Brunelleschi e il Tempietto del Bramante, o
chiese del tipo più tradizionale a croce latina come quella del S. Spirito di
Brunelleschi e quella del Gesù di Vignola. Come per gli scrittori contemporanei
che prendevano a modello il latino ciceroniano, il denominatore comune è,
naturalmente, l’adesione ai principi basilari dell’architettura romana; ma
in entrambi i casi l’eredità del cristianesimo era necessariamente destinata
a dare all’artista una visione profondamente diversa. In altri termini,
l’architettura del Rinascimento ha scopi differenti, radici differenti, e
anche una tecnica costruttiva differente. La costruzione della cupola del Duomo
di Firenze non sarebbe stata possibile senza le tecniche murarie gotiche, ma non
bisogna mai dimenticare che il desiderio di emulare gli edifici romani nasceva
soprattutto dalla loro sorprendente e palese superiorità rispetto alle opere di
epoche successive. Anche oggi che siamo abituati ad edifici enormi e alle
imprese tecniche rese possibili dall’acciaio e dal cemento armato, la basilica
di Costantino (Massenzio) e il Pantheon ci incutono ancora una certa soggezione.
All’inizio del Quattrocento, Roma consisteva di enormi ruderi coperti di
vegetazione e di malinconia nella loro decadenza, mentre piccoli, decrepiti
tuguri rappresentavano tutta l’attività edilizia civile di un millennio. C’è
un lungo lamento dell’umanista Poggio scritto intorno al 1431 sulle condizioni
di Roma in quell’epoca:
Questo colle capitolino, un tempo capo e centro dell’Impero romano e cittadella del mondo
intero, dinanzi al quale re e principi tremavano, questo colle sul quale
salirono in trionfo tanti imperatori, un tempo adorno dei doni e delle spoglie
di tanti grandi popoli, cinosura di tutto il mondo, ora giace desolato e
distrutto, così diverso dal suo antico stato, che i rampicanti hanno preso il
posto dei banchi dei senatori ed il Campidoglio è diventato ricettacolo di
letame e sozzura. Guarda il Palatino ed accusa la Fortuna che ha distrutto il
palazzo costruito da Nerone, dopo l’incendio della città, con il bottino del
mondo intero, splendidamente ornato con le ricchezze radunate nell’impero, la
dimora che, abbellita con alberi, laghi, obelischi, arcate, statue gigantesche,
anfiteatri di marmo variopinto, era ammirata da tutti coloro che la vedevano;
tutto ciò è ora talmente in rovina che non rimane ombra che possa assomigliare
ad altro che a un deserto.
Lo stesso sentimento fu espresso in maniera più incisiva dall’anonimo autore
dell’epigramma Roma quanta fuit ipsa ruina docet, che Serlio adottò come
motto per il suo libro sulle antichità di Roma (1540). Vitruvio, unico autore classico di cui ci sia pervenuto un trattato di
architettura, era noto nel Medioevo, ma all’inizio del Quattrocento Poggio
avrebbe riscoperto un manoscritto del trattato nel monastero svizzero di S.
Gallo. E’, comunque, certamente vero che da allora il latino oscuro e tecnico
di Vitruvio venne studiato con passione e gli architetti cominciarono a scrivere
trattati basati più o meno liberamente sul suo. Alcune citazioni metteranno in
chiara luce le loro concezioni su argomenti come la bellezza della proporzione,
l’armonia da ricercare in un edificio, e il deliberato rifacimento di tipi
classici. Vitruvio stesso con le sue definizioni diede l’esempio:
L’architettura si compone di Ordinazione... Disposizione... ed Euritmia, Simmetria, Decoro e
Distribuzione (De Architectura, I, II, 1).
La Composizione delle fabbriche dipende dalla simmetria, le regole della quale debbono perciò
essere ben note agli architetti. Nasce questa dalla proporzione... ed è una
corrispondenza di misura fra una certa parte de’ membri di ciascuna opera e
l’opera tutta: dalla quale corrispondenza dipende la simmetria. Quindi non può
fabbrica alcuna dirsi ben composta, se non sia fatta con simmetria e
proporzione, come l’anno le membra di un corpo umano ben formato... Debbono
del pari le membra degli edifizii sacri avere corrispondenza di misure fra
ciascuna parte e tutta l’intera grandezza... Se si situa un uomo supino colle
mani e co’ piedi stesi, e fatto centro nell’umbilico si tiri col compasso un
cerchio, questa linea toccherà le dita d’ambe le mani e piedi: e siccome si
adatta il corpo alla figura rotonda, s’adatta anche alla quadrata: imperciocché
se si prende la misura da’ piedi alla sommità della testa, e si confronti con
quella delle braccia tese, si troverà eguale l’altezza alla larghezza,
appunto com’è uno spazio quadrato (De Architectura, II, I, 1-3).
Ad ogni modo, senza stare a dilungarci, definiremo la bellezza come l’armonia tra tutte le
membra, nell’unità di cui fan parte, fondata sopra una legge precisa, per
modo che non si possa aggiungere o togliere o cambiare nulla se non in peggio...
(Alberti, De re aedificatoria, VI, 2).
Le finestre dei templi devono essere di dimensioni modeste e in posizione bene elevata, si che
attraverso di esse non si possa scorgere altro che il cielo, né i celebranti e
gli oranti siano in alcun modo sviati dal pensiero della divinità...
Nell’antichità, per questa ragione appunto, ci si limitava il più delle
volte a un’unica apertura, la porta. (Alberti, De re aedificatoria, VII, 12).
Tre cose in ciascuna fabrica (come dice Vitruvio) deono considerarsi, senza lequali niuno
edificio meriterà esser lodato; e queste sono, l’utile o commodità, la
perpetuità, e la bellezza... La bellezza risulterà dalla bella forma e dalla
corrispondenza del tutto alle parti, delle parti fra loro, e di quelle al tutto:
conciosiaché gli edifici habbiano da parere un intiero e ben finito corpo: nel
quale l’un membro all’altro convenga, e tutte le membra siano necessarie a
quello che si vuol fare (Palladio, I Quattro Libri, I, 1).
I Tempii si fanno ritondi, quadrangolari, di sei, otto e più cantoni, i quali tutti
finiscano nella capacità di un cerchio; a Croce, e di molte altre forme, e
figure, secondo le varie inventioni de gli huomini... Ma le più belle, e più
regolate forme, e dalle quali le altre ricevono le misure, sono la Ritonda e la
quadrangolare; e però di queste due solamente parla Vitruvio... Così leggiamo
che gli Antichi nell’edificare i Tempii si ingegnarono di servare il Decoro,
nel quale consiste una bellissima parte dell’Architettura. E però ancora noi,
che non habbiamo i dei falsi, per servare il Decoro circa la forma de’ Tempii,
eleggeremo la più perfetta, più eccellente; e conciosia che la Ritonda sia
tale, perché sola tra tutte le figure è semplice, uniforme, eguale, forte, e
capace, faremo i Tempii ritondi; a’ quali si conviene massimamente questa
figura... attissima a dimostrare la Unità, la infinita Essenza, la Uniformità,
e la Giustizia di Dio...[1]
Sono anco molto laudabili quelle Chiese, che sono fatte in forma di croce... perché...
rappresentano a gli occhi de’ riguardanti quel legno, dal quale stete pendente
la salute nostra. E di questa forma io ho fatto la chiesa di San Giorgio
Maggiore in Venetia...
Tra tutti i colori niuno e, che si convenga più a i Tempii della bianchezza: conciosiaché
la purità del colore e della vita sia sommamente grata a Dio. Ma se si
dipingeranno, non vi staranno bene quelle pitture, che con il significato loro
alienino l’animo dalla contemplatione delle cose Divine; perciò che non si
dobbiamo ne i Tempii partire dalla gravità, e da quelle cose che vedute da noi
rendano gli animi nostri più infiammati al Culto Divino e al bene operare
(Palladio, I Quattro Libri, IV, 2).
Naturalmente era più facile ricreare edifici classici di tipo civile che i templi pagani
dell’antichità, così inadeguati alle esigenze della liturgia cristiana,
soprattutto per i loro significati devozionali. Così, per esempio, l'insula
classica, o blocco di appartamenti, attraverso uno sviluppo organico culmina nel
palazzo italiano, e in Italia lo spettacolo affascinante del passato che evolve
nel presente si svolge con maggiore chiarezza che altrove. Si possono fare
osservazioni analoghe in merito alle forme delle chiese, nella misura in cui si
distinguono dai templi. In effetti, difficilmente gli architetti del
Rinascimento hanno potuto credere di ripristinare forme romane, poiché i
principali tipi di chiesa cristiana erano già stati fissati all’inizio del IV
secolo sotto l’Imperatore Costantino, e per gli uomini del Quattrocento e del
Cinquecento l’Impero Romano cristiano nel secolo tra l’editto di Milano
(313) e il sacco di Roma a opera dei vandali (410) toccò uno dei momenti
culminanti dell’arte classica. Per questo motivo non sarebbe mai potuto venire
alla mente di Brunelleschi o di Bramante di considerare non cristiana una chiesa
a pianta centrale; essi pensarono, anzi, che l’architettura gotica fosse
un’architettura barbara. L’importazione delle idee gotiche in Italia fu
lenta e tarda; furono soltanto le circostanze storiche a permettere che si
verificasse e per lo meno in questo senso gli uomini del Rinascimento ebbero la
consapevolezza di ritornare agli scopi e agli ideali dei loro progenitori quando
cercarono di liberare il loro cammino dai rottami dei secoli barbarici per poter
ripercorrere la via ampia e diritta della “buona maniera di costruire”.
L’illustre studioso francese Emile Male lo ha espresso perfettamente in due
frasi:
Così, il viaggiatore che dal Colosseo si dirigeva verso S. Pietro attraverso la Basilica
Costantiniana ed il Pantheon, che visitava la Cappella Sistina e la più bella
delle stanze di Raffaello, in una giornata, vedeva quanto di meglio Roma
offriva. Allo stesso tempo, avrebbe imparato cos’era il Rinascimento: era
l’Antichità nobilitata dalla fede cristiana.
BIBLIOGRAFIA:
Il Rinascimento dell’Architettura da Brunelleschi a Palladio - Betrand Jestaz - Universale Electa / Gallimard
L’Architettura del Rinascimento italiano - Peter Murray - Economica Laterza
[1]
L’idea della perfezione del cerchio in quanto riflesso della perfezione
divina non fu inventata da Palladio; la troviamo più di un secolo prima
negli scritti di Niccolò da Cusa: “In lui [...] il principio è tale che
fine e principio sono una cosa sola [...] Tutto ciò deduciamo dal cerchio
infinito, che, non avendo né principio, né fine, è eterno, infinitamente
uno e infinito in capacità”. Cfr. P. Burke, The Renaissance, Londra 1964,
pp. 74-4.
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