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PREFAZIONE
La città di Roma nacque da un villaggio di
pastori e agricoltori sul Palatino, che si allargò agli altri colli
circostanti. La data tradizionale (753 o 754 a. C.) si riferisce alla nascita
del primo nucleo di villaggi sul colle di Evandro che si dotarono di mura di
protezione, magistrati e di un esercito. La popolazione di Roma fu fusione di
stirpi diverse: latini, sabini, etruschi, che tuttavia dettero origine ad una
cittadinanza latina di lingua e di spirito, ad un identità nuova: quella
“romana”. L’etimologia del nome potrebbe essere di origine etrusca o
latina, potrebbe significare la città del fiume.
DALLE ORIGINI AL SECOLO VI DOPO CRISTO
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Roma sorse sul fiume Tevere a poche decine
di chilometri dal mar Tirreno. Questa posizione contribuì in modo determinante
alla sua fortuna, da che un lato le dette modo di difendersi dalle aggressioni
esterne e dall’altro le aprì la via per l’espansione ed il commercio. Esso
fu notevole già nel periodo leggendario della monarchia (i sette re): deve
peraltro considerarsi senza fondamento l’attribuzione a questo periodo sia di
un'ampia cinta di mura (mura serviane), sia di istituzioni politiche sviluppate,
sia di grandi conquiste. Dovette bensì formarsi assai presto in Roma una buona
classe dirigente, che esplicò la sua opera nel passaggio dalla monarchia alla
repubblica (data tradizionale, 509 a.C.). Agli inizi l’organizzazione dello
stato repubblicano fu in mano all’aristocrazia, con la reggenza annuale di due
consoli e del senato; ma la plebe si affermò ben presto con l’istituzione dei
tribuni, sorti a sua difesa e divenuti magistrati di importanza primaria, e il
pareggiamento progressivo (e dalla metà del IV secolo a. C. fu pressoché
totale) dei diritti fra patrizi e plebei. Ciò ebbe per effetto l’ampliamento
e il rinnovamento della classe dirigente (la nobilitas), e l’accresciuta
importanza, di fronte al senato, dei comizi popolari.
Le lotte interne vivacissime non nocquero,
anzi contribuirono all’espansione della città. Nel IV secolo essa ottenne la
supremazia nel Lazio. Dopo la pausa dovuta all’invasione gallica (387), Roma
sconfisse i forti montanari sanniti, e trionfò di loro e degli altri popoli
italici, degli Etruschi, dei Galli e dei Greci dell’Italia meridionale che non
riuscirono a saldare durevolmente e organicamente le loro forze contro di lei.
Dal 270 a.C. circa tutta l’Italia peninsulare era controllata da Roma, in
parte minore per annessione diretta, nella maggiore parte per protettorato. Roma
unificò l’Italia, dando ad essa un’organizzazione politica e culturale.
Roma, inizialmente vicina alla cultura etrusca, assorbì man mano sempre più la
cultura greca proveniente dall’Italia meridionale, ma non la subì, essa fu
l’amalgama sulla quale nacque e si sviluppò una letteratura e un arte tutta
romana, con caratteristiche proprie.
Dalla metà del III secolo a.C. Roma si
espande fuori della penisola. Le due prime guerre puniche ((264-201) le danno il
dominio del Mediterraneo, e questo la conduce nel secolo e mezzo successivo alla
supremazia in Oriente, sui regni usciti dall’impero di Alessandro Magno, e in
Occidente, sui popoli semibarbari di Spagna e di Gallia. L’espansione verso
l’esterno dà luogo alla nascita dell’Impero, e la politica interna subirà
ben presto analoga trasformazione. Roma, rimanendo il centro della vita politica
e culturale italiana, diviene la capitale del mondo civile. A ciò corrisponde
il suo ampliamento costruttivo e demografico, il suo splendore artistico e
sociale, che raggiungono il culmine nei primi due secoli dell’Impero. Il
regime imperiale inizia con Cesare Ottaviano Augusto, negli ultimi decenni
avanti l’era volgare. Esso conserva il carattere formale di una combinazione
di varie magistrature repubblicane, riposante sulla volontà del popolo e del
senato romano. Prevale, però, sempre più il carattere assolutistico e
militare, in corrispondenza anche con la crescente pressione esterna dei barbari
ai confini. Ciò è causa della perdita graduale dell’importanza di Roma che,
cessando di essere dimora degli imperatori, perde qualsiasi influenza effettiva
sul corso degli avvenimenti.
Il popolo era stato estromesso
politicamente agli inizi dell’Impero; ora anche il senato si riduce a poco più
di un consiglio municipale. La lunga decadenza dell’impero è innanzi tutto
decadenza di Roma: politica, culturale, artistica, demografica. Dopo le prime
occupazioni barbariche (Odoacre, Teodorico) questa decadenza tocca il culmine al
tempo della ventennale guerra gotica. Rimane tuttavia le grandezza di Roma, come
città prima e senza pari al mondo, maestra di civiltà, fondatrice e centro
morale dell’impero, nella coscienza dei barbari non meno che nei romani.
Questa grandezza morale prende nuovo corpo grazie al fatto che Roma diviene il
centro della cristianità, la sede del primo vescovo del mondo cattolico, del
successore di Pietro, principe degli apostoli, il cui sepolcro, con quello
dell’altro principe degli apostoli S. Paolo, è custodito nell’Urbe. Il
papa, nell’opera di evangelizzazione dell’Occidente romano-barbarico, assume
una posizione centrale e di questa posizione ne trae beneficio Roma che conserva
così il suo valore universale ma, lo conserva, in modo diverso; non è più
protagonista storico il popolo di Roma, con le sue conquiste e la sua cultura,
ma la città di Roma, teatro della nuova istituzione mondiale.
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DAL SECOLO VI AL SECOLO XVI
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Dalla metà del VI secolo Roma è una città
dell’impero bizantino, la cui sede, in Italia, è Ravenna. Due secoli dopo
essa è divenuta la capitale del dominio temporale pontificio, una specie di
appannaggio territoriale del vescovo di Roma. A questo punto, la storia della
città si intreccia con quella dell’impero franco-carolingio. La città papale
sembra ritornare città capitale dell’impero, con il conferimento da parte del
papa della corona imperiale, a partire da Carlo Magno nell’anno 800, ma è
solo apparenza, poiché nel gioco delle forze politiche il popolo e la città di
Roma contarono, per le sorti del sacro impero romano, ben poco. Tuttavia, ciò
valse a ridare alla città un carattere universale, non soltanto passivo ma
anche attivo, sia pure in assai limitata misura. Questo nuovo aspetto della vita
romana si vede particolarmente bene al tempo per la lotta per le investiture.
Durante essa, Roma è disputata fra il papa e l’antipapa imperiale.
La storia di Roma comunale ha inizio nel
1143-1144; nella città tre contendenti si disputano il primato: papato,
municipio, nobiltà feudale, a cui si aggiunge, per quanto intermittentemente,
l’impero. I pontefici furono in urto frequente con il Comune e abbandonarono
spesso, per amore o per forza, Roma. Il Comune ebbe vita assai dura, e non
raggiunse mai la forza e l’opulenza dei grandi comuni italiani. Il periodo del
papato avignonese (1305-1377), con l’assenza permanente dei pontefici, pur
portando la vita cittadina ad uno stato di squallore e di miseria, permise al
governo popolare una maggiore organicità e continuità. Il ritorno dei
pontefici vide l’affermarsi dell’autorità della Chiesa in modo assai
maggiore che in precedenza, tanto da ricondurre, nel primo decennio del secolo
XV, il potere comunale nei ristretti confini del municipio, non più di stato.
Così il potere temporale della Chiesa prende forma e consistenza di principato,
analogo agli altri italiani, Roma diviene capitale dello stato pontificio, oltre
ché del cattolicesimo, per opera del papa la città ritorna centro culturale
quale non era più stato dai tempi dell’antichità.
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DAL SECOLO XVI ALLA REPUBBLICA
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Con il sacco di Roma (1527) tutto ciò ha
fine, pur non modificando sostanzialmente la posizione della città entro le cui
mura il papa Re non è più contrastato. Con la Controriforma (1545-1563,
Concilio di Trento indetto da Paolo III Farnese), l’importanza universale
della città in quanto sede del pontificato si accentua e si rafforza, vi
risplendono in essa i nuovi capolavori del barocco. Il peso politico
internazionale della città è comunque inesistente, ciò principalmente a causa
della sistematica neutralità pontificia che, nel Seicento e Settecento, tiene
fuori il papato dalle contese e dalle guerre internazionali. Il risveglio
politico si manifesta nella città con la rivoluzione francese ma, sono solo
echi lontani. Gli anni 1798-99 vedono la prima caduta del potere temporale del
papa in occasione della proclamazione della repubblica nata sull’emulazione
dell’antica. Pio VI è deportato in Francia. Ma è un episodio di breve
durata; un anno dopo Pio VII si ristabilisce a Roma. Ma la restaurazione non ha
miglior sorte della repubblica, dovrà cadere nel 1809 con l’ingresso delle
truppe di Napoleone. Roma diviene così la seconda città dell’Impero
francese, schiava dei barbari di un tempo. Al figlio infante di Napoleone viene
assegnato il titolo di Re di Roma.
Con le sconfitte in Europa di Napoleone nel
1814 Pio VII riprende possesso della città. Siamo alla seconda restaurazione.
Seguono cinque anni di pace, il regime clericale cade nell’indifferenza
popolare. Sotto le ceneri, covano i fermenti delle passioni patriottiche che non
trovano, comunque, l’accoglienza che si riscontra in altre parti d’Italia.
L’insurrezione dell’Italia centrale nel 1831 a Roma non attecchisce.
Bisognerà attendere il 1846. In
quell’anno, nel mese di giugno, sale al soglio pontificio Pio IX. Roma,
stranamente, esce dall’apatia che le è consona e diviene il maggior centro di
fermenti insurrezionali. Il 1848 vede la nascita dello statuto e la riunione del
parlamento; Pio IX vede contrastata la sua politica di neutralismo dal
bellicismo dei rivoltosi e, nel novembre del 1848 lascia Roma; dopo
l’assassinio di Pellegrino Rossi segue la proclamazione della repubblica
romana (9 febbraio 1849) per opera di un assemblea costituente. Il governo del
triumvirato, di cui capo morale fu Giuseppe Mazzini, nulla può contro le armi
francesi che abbattono la repubblica e restaurano, per la terza volta in
cinquant’anni, il pontefice. Ma la fine di un era è ormai nell’aria. Il
fermento rivoluzionario e cospiratorio perdura. La proclamazione del Regno
d’Italia (1860-1861) restringe il potere temporale esercitato dal papa al solo
territorio laziale. Le armi francesi sono l’unico ostacolo all’unificazione
di Roma al resto del Regno. Nel 1867 un tentativo di assalto dei garibaldini
fallisce a causa del mancato apporto insurrezionale interno. Ma nulla può il
Pio IX il 20 settembre 1870 contro l’esercito italiano che, sparato qualche
colpo contro le mura aureliane, entra in Roma da Porta Pia. Il potere temporale
della chiesa è tramontato per sempre, con esso svanisce l‘epopea che dal
Rinascimento in poi ha fatto di Roma il centro mondiale della cultura; l’opera
dei pontefici romani è stata determinante per l’arricchimento artistico della
città ed oggi grazie ad essi è possibile osservare opere di incommensurabile
valore che innalzano il genio umano ad immagine di Dio. Con il plebiscito del 2
ottobre 1870 Roma viene riunita all’Italia; la città da cui secoli prima era
partita l’unificazione della penisola oggi, per ultima, la completa.
Con il 1^ luglio 1871 essa diviene la capitale del Regno, secondo la
proclamazione fatta già il 27 marzo 1861.
La Roma del Regno d’Italia, a differenza
di quella repubblicana e napoleonica, non scaccia il papa. Il 13 maggio del 1871
viene promulgata una legge, detta delle guarentigie, che assicura la pacifica
convivenza del nuovo stato italiano con la chiesa universale romana, convivere
pacificamente con essa, è il motto, anche se secoli di attriti non possono
d’incanto svanire. Il papa per protesta non esce dai palazzi vaticani;
l’alta società romana si divide in bianca e nera; l’avversione verso i
sacerdoti diviene in certi casi cruenta, ma la divisione si attenua man mano,
fin quasi a scomparire, col nuovo secolo, mentre la protesta pontificia diviene
formale. Ora la vita politico parlamentare di Roma italiana si intreccia
indissolubilmente con quella ecclesiastico religiosa, esse si completano
reciprocamente. Adesso come prima, e forse più di prima, Roma è metà di
artisti, turisti, poeti, uomini politici, sovrani, pellegrini, eminenze
sacerdotali. L’11 febbraio 1929 Benito Mussolini, quale capo del Governo
italiano, e Sua Eccellenza il Cardinale Gasparri, quale rappresentante del
successore di Pietro, suggellano, nei palazzi Lateranenzi in Roma, con il
Concordato (detto anche dei Patti Lateranensi) la fine dell’isolamento papale
restituendo alla città e al mondo l’opera misericordiosa del pontefice. Poi
XI è sul soglio di Pietro nello storico evento.
La prima guerra mondiale era rimasta a gran
distanza dalla Città eterna, solo gli innumerevoli lutti ricordavano al popolo
romano che si stava combattendo lassù, ai confini della patria, la seconda
invece la investe, con il bombardamento anglo-americano (il 19 luglio 1943 fu
bombardato il popolare quartiere di San Lorenzo e con esso, sintomo della nuova
barbarie dell’epoca, il Monumentale Cimitero del Verano, che subì ingenti
danni), e l’occupazione tedesca dopo l’8 settembre 1943. Ma la città esce
dalla guerra sostanzialmente intatta contribuendovi potentemente l’opera del
suo pontefice Pio XII, Eugenio Pacelli, che si adoperò perché fosse dichiarata
dai belligeranti di ogni parte “Città aperta”, che ne fosse cioè
riconosciuta l’unicità e, di conseguenza, l’importanza della città per
l’intera umanità; e la storia si ripeté, e i barbari si fermarono nuovamente
alla porte di Roma; alleati e tedeschi insieme da Roma, rispettandola, accesero
un lume che permeò il mondo di luce, la luce della speranza.
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SVILUPPO EDILIZIO E DEMOGRAFICO
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Roma quadrata sorse sull’altura del
Palatino, estremamente modesta di forme e ristretta d’estensione (ma al riparo
dalle inondazioni, dalla malaria e dai colpi di mano), dalla fusione - per
quanto sembra - di tre villaggi: Germalus (verso il Campidoglio), Velia (verso
il Colosseo) e Palatual (nel mezzo). Questi si sarebbero uniti successivamente,
con altri tre sull’Esquilino (Fagutal, Cispius, Oppius) e con uno
nell’avvallamento intermedio (Querquetual) nella federazione del Septimontium,
termine da non confondere con quello dei sette colli, abbracciante tutta Roma
(Palatino, Quirinale, Viminale, Esquilino, Celio, Aventino, Gianicolo). Alla
costituzione del Septimontium sarebbe seguita la fusione di questo con
stabilimenti sabini sul Quirinale e il Viminale, e il Campidoglio avrebbe allora
costituito l’acropoli della federazione così ingrandita. Altri però sostiene
che il Septimontium non abbia potuto esistere senza comprendere il Campidoglio.
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ROMA ANTICA
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Checché sia di ciò, certo è che la Roma
primitiva (di cui tracce molteplici sono state ritrovate negli scavi) formò da
principio una specie di rifugio o di fortezza sul Palatino isolato, in prossimità
del Tevere, e di là si dilatò verso i più vicini colli a oriente, mentre si
teneva lontana dall’ampia (relativamente) pianura dell’ansa del Tevere a
nord ovest del Campidoglio (Campo Marzio). I suoi cittadini invece frequentarono
fin da principio la pianura più ristretta racchiusa fra i colli della
federazione, cioè il Foro romano, facendone il centro degli affari civili, e
l’altra fra Palatino e Tevere (Foro Boario e adiacenze), che servì ai mercati
e alle comunicazioni commerciali anche fluviali.
Secondo la leggenda, Roma avrebbe raggiunto
prima della fine dell’età regia una notevole estensione, che Servio Tullio
avrebbe cinto di mura. Ma le mura serviane, di cui tratti cospicui si sono
conservati, sono in realtà posteriori all’incendio gallico; ed esse pertanto
ci attestano l’estensione che la città aveva raggiunto alla metà del IV
secolo a. C.. Rispetto alla posteriore cinta aureliana, la cinta delle mura
serviane lasciava fuori a Nord il Pincio e l’attuale quartiere Ludovisi, ad
est i quartieri di Castro Pretorio, Tiburtino, Laterano, a sud tutto il tratto
da Porta Capena a Porta San Sebastiano, a ovest il Testaccio (tra l’Aventino e
il Tevere) e il Campo Marzio (tra il Quirinale e il Tevere). Con l’incremento
economico, politico e sociale del periodo tra le guerre puniche e quelle civili
le mura serviane furono largamente oltrepassate, specialmente nel Campo Marzio.
E insieme con l’accresciuta estensione la città cambiò profondamente
fisionomia, sostituendosi alle modeste case familiari e agli angusti e semplici
edifici pubblici in legno mattoni e tufo, le ricche dimore patrizie, i casamenti
(insulae) di affitto a parecchi piani, i templi e le basiliche in travertino e
in marmo. Così pure le viuzze strette e tortuose furono in parte sostituite da
strade ampie e diritte.
Questa trasformazione ebbe un grande
impulso da Augusto (ho trovato una Roma di mattoni e la lascio di marmo), e
continuò nei due primi secoli dell’impero. Nel centro di Roma, tra Palatino e
Quirinale sorse, a cominciare da Cesare, la serie dei Fori imperiali allargando
grandemente lo spazio destinato ai passeggi e ai ritrovi pubblici. Ma anche
negli altri quartieri si moltiplicarono templi, terme, giardini. La plebe per
contro si agglomerò sempre più nelle insulae, che aggiunsero piani a piani.
L’incendio neroniano del 64 e l’altro dell’80, dettero luogo alla
ricostruzione più moderna e più regolare della città. Il Palatino, con le
grandi costruzioni di Domiziano, divenne quasi un unico enorme palazzo
imperiale, accentuandosi la fisionomia dinastica e cortigiana della città, ma
accrescendosi anche contemporaneamente le magnificenze, le comodità e i
sollazzi a disposizione di tutti nei circhi, teatri e terme.
Il II secolo segna il periodo di massimo
splendore di Roma antica, che doveva contare allora più di un milione di
abitanti. Essa era divisa (per disposizione augustea) in quattordici regioni,
cui succedettero i rioni medievali e moderni: Porta Capena, Caelimontium, Isis
et Serapis (Colle Oppio), Templum Pacis, Esauiliae, Alta Semita (dal Quirinale a
Porta Pia), Via Lata (il Corso), Forum Romanum, Circus Flaminius, Palatinum,
Circus Maximus, Piscina publica (Terme di Caracalla), Aventinus, Trans Tiberim.
Col III secolo, dopo i Severi, l’incremento demografico e lo sviluppo
architettonico subirono una sosta: prima della fine del secolo la minaccia
incipiente delle invasioni barbariche induce l’imperatore Aureliano (270-75) a
costruire la nuova più ampia cerchia di mura che ancora oggi, imponente, si
erge innanzi ai nostri occhi dopo più di diciassette secoli. Essa include il
Pincio, il Testaccio, un tratto del Gianicolo, da Porta Settimina a Porta
Portese; si aggirava per circa 18 km, e vi si aprivano 13 porte.
Entro la cinta aureliana la Roma imperiale
arrestò la sua espansione e iniziò ben preso la decadenza e lo spopolamento,
dovuto a cause generali ben note, cui converrà aggiungere la malaria che,
infestando la campagna, si spinse in certe zone fino alle porte della città.
Perduto di fatto Roma il suo rango di capitale, con la lontananza
dell’Imperatore e della Corte, circondata da una campagna a coltura estensiva,
a pascolo, e scarsamente abitata, soggetta al riflesso della crisi economica
generale, la popolazione diminuisce, l’attività edilizia si arresta, la
manutenzione dei monumenti pubblici non è più curata sufficientemente, e anzi
incomincia quel lento sgretolamento che si accelererà nel Medioevo e più
ancora nel Rinascimento. La stessa chiusura dei templi, per l’abbandono e la
proscrizione del paganesimo, contribuì alla loro rovina, senza che ci fosse
opera predeterminata cristiana. Invece le effimere, rapidissime occupazioni
barbariche (Alarico, 410; Genserico, 455) pochissimi danni permanenti produssero
a Roma monumentale. E’ piuttosto la vita che si allontana da essa.
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ROMA MEDIEVALE
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Mentre Roma andava così perdendo i suoi
lineamenti di città imperiale pagana, essa ne acquistava nuovi e differenti,
grazia al trionfo e al dominio della Chiesa cattolica. La Roma cristiana utilizzò
solo una piccola parte della Roma monumentale pagana, adattando piuttosto invece
locali privati a uso dei fedeli e del clero, o costruendone di nuovi. Nel IV, V
secolo sorgono già una certa quantità di chiese cristiane, e il loro numero si
accresce nei secoli seguenti: accanto ad esse si moltiplicano specialmente nel
periodo bizantino gli stabilimenti di monaci (per lo più di non grandi
dimensioni) addetti spesso al servizio liturgico nelle chiese. Le principali fra
queste sono i tituli o chiese parrocchiali; accanto ad esse hanno importanza per
la vita cittadina le diaconie, tra cui si ripartisce l’azione amministrativa e
assistenziale della Chiesa romana, divenuta l’istituto cittadino più
importante.
Non cambia invece la pianta di Roma,
essendo rimasto il corpo delle abitazioni nel quadro precedente, diradata
piuttosto in talune zone. Si sposta altresì il centro delle attività e della
vita: dai Fori e dal Palatino essa si rivolge verso il Laterano, sede del
Vescovo di Roma o - come si disse con termine divenuto presto esclusivo - del
Papa.
Il primo periodo gotico, sotto Teodorico,
segnò un modesto rifiorimento di Roma, anche edilizio, con provvedimenti per la
conservazione dei vecchi edifici; ma con la guerra gotica (535-553) Roma toccò
invece forse il punto più basso nella sua storia millenaria. Assedi ed
espugnazioni ripetute, con passaggi da un belligerante all’altro, la fame e la
peste desolarono la città, tanto che la si dice rimasta per pochi giorni
completamente deserta. La popolazione stabile scese molto probabilmente al
disotto delle 50.000 unità. Il Senato scompare, e ogni organizzazione civile
viene meno, rimanendo solo quella ecclesiastica, che subentra (grazie
specialmente alle diaconie) e alla Curia pontificia nei compiti della prima.
Con il ritorno della pace le condizioni
migliorano; ma l’invasione dei Longobardi, spintisi fino alle porte di Roma,
tornò a peggiorare la situazione. Si accrebbe anche per la malaria lo
spopolamento nelle campagne circostanti. Forse l’elemento più spiccato di
vita nella Roma del VII secolo è costituito dagli stranieri pellegrinanti al
sepolcro dell’Apostolo Pietro.
Il secolo VIII vede rialzarsi le condizioni
di Roma, come in generale dell’Italia. Con l’inizio del periodo franco si ha
anche una modesta ripresa di attività edilizio artistica (fin verso la metà
del IX secolo) mentre già dal tempo di Papa Zaccaria (741-752), i pontefici
fondano nella campagna le domus cultae, fattorie agricole che concorsero a
rianimare l’Agro, ma ben presto cedettero alle avverse condizioni climatiche e
sociali.
La cosiddetta restaurazione dell’impero
d’Occidente, con l’apparato cerimoniale delle incoronazioni imperiali
succedutesi in Roma dall’800 (Carlo Magno) al 1452 (Federico III), e con le
dimore - generalmente brevissime - dell’imperatore, apportò a Roma movimento,
solennità pittoresche e un ritorno di prestigio, senza tuttavia rialzarne le
condizioni economiche e politiche.
A metà del IX secolo vengono i Saraceni,
dal Tirreno, a portare un nuovo elemento di insicurezza e di devastazione.
Nell’846 le basiliche di S. Pietro e di S. Paolo sono saccheggiate. Questo,
però, dette occasione al compimento della cinta muraria fortificata con la
costruzione (848-852) a opera del pontefice Leone IV delle mura leonine, intorno
al quartiere vaticano e a S. Pietro, facenti capo a Castel S. Angelo e alla
porta di S. Spirito.
Le incursioni saracene tuttavia non
cessarono; e più di esse resero precarie le condizioni della città i torbidi
politici dell’ultimo periodo franco e del susseguente regno italico. Il X
secolo fu denominato secolo di ferro. Della rozzezza edilizia di questo secolo
è testimonio la cosiddetta Casa di Crescenzio. Pure, un periodo di ordine e di
ripresa cittadina fu quello del principe Alberico (936-952). Incertezza e
disordine ripresero con le lotte fra i primi imperatori tedeschi e la nobiltà
feudale della Campagna. Alla fine del secolo la residenza di Ottone III,
sull’Aventino, dette alla città un momento di effimero splendore.
Le condizioni non cambiano nella prima metà
del secolo XI; la contesa delle investiture alla fine di esso apportò nuove
lotte e calamità guerresche. Nel 1084 l’espugnazione della città per opera
dei Normanni (Roberto il Guiscardo) portò a saccheggi, incendi e distruzioni
notevolissime, specialmente nel quartiere del Celio, dal Colosseo al Laterano,
con risultati duraturi di spopolamento e abbandono.
Col secolo XII si inizia una attività
restauratrice e innovatrice, che va dall’edilizia all’amministrazione civica
e all’organizzazione politica. I lavori nelle chiese sono contemporanei o di
poco anteriori alla fondazione del Comune (1143-44). Il Campidoglio da lungo
tempo abbandonato ospita il rinnovato senato, e ritorna il centro della vita
cittadina, la quale riacquista una organizzazione propria, accanto alla Curia
romana e ai poteri feudali. Tuttavia il Comune romano, pure spiegando una
intensa attività politica, rimase sempre economicamente e socialmente debole e
sparuto. In particolare le condizioni dell’Agro non migliorarono. Questa
debolezza si rispecchia nella mancanza in Roma comunale di un architettura
civile. Anche nell’età comunale sono i palazzi fortezze dei nobili, costruiti
spesso incorporando antichi edifici (per esempio l’Arco di Tito), quelli che
dominano. Al di fuori di essi, il volto di Roma rimane essenzialmente
ecclesiastico e papale; la presenza e l’assenza della Corte romana (con il
conseguente concorso o meno dei forestieri) rimane elemento precipuo della vita
economica e sociale. E anzi perfino i nuovi ordini religiosi popolari
(Francescani e Domenicani) non acquistarono in Roma una importanza analoga a
quella del resto d’Italia, ciò che si rispecchia nello scarso sviluppo
dell’edilizia conventuale (Santa Maria in Aracoeli per i francescani, Santa
Maria sopra Minerva per i domenicani).
Si comprende così che il periodo
avignonese (1305-1377) segni un secondo (o un terzo, computando anche il
principio del X secolo) punto infimo delle condizioni sociali, demografiche,
edilizie della città. E’ il periodo classico di Monte Caprino (il
Campidoglio) e Campo Vaccino (il Foro Romano). Si racconta anzi che pecore e
capre pascolassero anche in S. Pietro e in Laterano. La popolazione scese forse
a quindicimila abitanti.
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DAL RINASCIMENTO AI TEMPI MODERNI
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Il Rinascimento segna la rinascita
definitiva di Roma. I Pontefici, divenuti principi stabili e sovrani come gli
altri d’Italia, e in posizione consolidata e ampliata di governatori supremi
della Chiesa, fanno nuovamente di Roma una capitale mondiale. La formazione per
agglomeramento ed ingrandimento successivi degli irregolari palazzi Vaticani; la
costruzione del nuovo S. Pietro; le nuove o rinnovate chiese della Rinascenza
nei tre periodi, primitivo, maturo e tardo; la costruzione intensa di Palazzi,
di dimore ecclesiastiche e nobiliari; la creazione di grandi arterie stradali
dritte, fiancheggiate da nuove costruzioni; lo stile di queste costruzioni
stesse, sempre più ampio e ricco, solenne e sfarzoso, cambiano radicalmente la
faccia di Roma. Nella creazione di nuovi valori edilizi e artistici vanno
parzialmente travolti i valori precedenti, medievali o paleocristiani, pur
rimanendone abbastanza per accrescere la varietà pittoresca della fisionomia di
Roma.
Il sacco di Roma del 1527, se ebbe
conseguenze immediate disastrose, anche sulla demografia della città (che
sarebbe scesa da 90.000 a 30.000 abitanti), non arrestò in maniera permanente
questa trasfigurazione e incremento. Questo anzi proseguì con sviluppo
organico: dalla via Giulia di Giulio II al principio del Cinquecento si arrivò
alla via Sistina di Sisto V alla fine del medesimo; l’architettura del tardo
Rinascimento trapassò nel Barocco; si aggiunse all’edilizia romana nuovi
cospicui elementi: creazione di grandi piazze, erezione di obelischi,
costruzione di ville con i loro Casini; e nel mezzo del Seicento S Pietro e la
sua piazza, Piazza Navona, S. Maria Maggiore, S. Giovanni in Laterano, villa
Borghese, villa Pamphily, sono solo alcuni dei punti principali che formarono i
nuclei di una rete edilizia pianificata quale nessuna altra città d’Europa
poteva vantare.
Può dirsi che la fisionomia della città
abbia acquistato da allora i suoi caratteri definitivi. Quel che si aggiunse da
allora in poi intensificò questa fisionomia piuttosto che trasformarla. Ciò
vale in particolare per il periodo neoclassico, creatore di Piazza del Popolo e
del Pincio, mentre dalla morte di Pio VII al 1870 scarsi appaiono i cambiamenti.
La Roma italiana, di scarsa produttività monumentale, iniziò invece uno
sviluppo demografico senza precedenti dai tempi imperiali in poi. I duecentomila
abitanti del 1870 erano già raddoppiati nel 1900. Si ebbe quindi una
moltiplicazione di nuovi quartieri che hanno triplicato la consistenza edilizia
della città. Mentre la cinta aureliana fino ad allora conteneva quasi
dappertutto lo sviluppo edilizio e anzi includeva vasti spazi a ville, vigne,
orti, ora tali spazi si riempirono di costruzioni, e queste traboccarono
larghissimamente al di la delle mura, rodendo la campagna. Già prima della fine
del secolo XIX si crearono entro la cerchia aureliana la via Nazionale e Cavour,
le grandi piazze delle Terme, dell’Indipendenza, e Vittorio Emanuele; sorsero
i nuovi quartieri dell’Esquilino, del Celio, del Testaccio, dei Prati. Il
corso del Tevere entro Roma fu regolato con i grandi muraglioni, ponendosi
finalmente un termine alla serie secolare delle inondazioni, i cui alti livelli
sono tutt’ora segnati in vari punti della città. Nei primi quarant’anni del
secolo XX l’ampliamento fu assai maggiore che nei trenta precedenti nei
quartieri Flaminio, Salario, Nomentano, di Porta S. Giovanni e Porta Maggiore,
Ostiense, di Monteverde, di Porta Cavalleggeri, dell’ex-piazza d’armi
(quartiere Mazzini), di Monte Mario. Queste linee di sviluppo evitarono, in
massima, le alterazioni di fisionomia della Roma Antica. Inoltre,
nell’inclusione di sempre nuove zone vennero anche compresi i grandi parchi già
esistenti, e persino tratti di bosco alla periferia, e altri parchi minori si
crearono. Si aggiunsero, nel periodo fascista grandi scavi archeologici,
accompagnati pure da piantagioni arboree (ad esempio la escavazione e la
sistemazione dei Fori Imperiali) a formare complessi e sfondi paesistici
incomparabili. Dopo la seconda metà del secolo XX tali scenari sono stati
progressivamente deturpati dal traffico degli automezzi che, oltre a rendere il
centro cittadino un luogo maleodorante rumoroso e insalubre, sono causa del
progressivo deterioramento, in alcuni casi distruttivo e quindi irreversibile,
dei secolari monumenti.
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LINEAMENTI DI STORIA ARTISTICA
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La Roma del periodo regio e del primo
periodo repubblicano subì prevalentemente l’influenza della cultura etrusca:
questa, a sua volta, era inclusa nell’ambito di espansione della cultura
greca, soprattutto per l’arte. Così, attraverso l’Etruria, anche Roma
risentì fin dagli inizi l’influenza culturale e artistica greca; la subì poi
direttamente, allorché entrò in relazione con l’Italia meridionale, e
specialmente dopo che le città della Magna Grecia entrarono a far parte della
cosiddetta confederazione romano-italica. Con le spedizioni e le conquiste in
grecia e in oriente nel corso del II secolo a.C. l’ellenizzazione della
cultura e della vita spirituale romana raggiunse il culmine. Le opere d’arte
greca affluirono in gran quantità a Roma, parte negli originali, più spesso in
copie. Roma divenne un grande museo dell’arte greca, con predominio
dell’arte ellenistica su quella del periodo classico. Direttamente in Roma
lavorarono, alla fine della repubblica e nei primi tempi dell’Impero, scuole
di scultura ellenistiche ispirantesi all’imitazione dell’arte più antica.
Ancora oggi, i musei romani rispecchiano questo processo storico-artistico.
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ARTE ANTICA
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Vi fu tuttavia per tempo un’arte romana
locale, con caratteri originali. La lupa capitolina d’intorno il 500 a.C., è
ancora, probabilmente, un monumento etrusco, ma ben intonato, per la sua energia
allo spirito romano. Questo trovò una sua espressione particolarmente efficace
nell’arte del ritratto: busti in bronzo o in marmo di spiccata fisionomia
personale (il cosiddetto Bruto capitolino) si scolpivano già in Roma nel IV-III
secolo a. C. Verso la fine della repubblica incominciarono a moltiplicarsi gli
esemplari di questa arte ritrattistica arrivati fino a noi. Alla fine della
repubblica fiorisce anche la pittura decorativa parietale, analoga per
procedimento tecnico, stile, soggetti, a quella pompeiana (cfr. gli affreschi
parietali del Palatino nella casa di Livia e altrove).
Dove, però, l’arte romana si afferma fin
dall’antico con forza e grandiosità di costruzione e originalità di forme,
è nell’architettura, pur concorrendovi, all’inizio con particolare
efficacia l’influenza etrusca, soprattutto nell’impiego della volta. Di
questo impiego sono esempi antichi e notevolissimi il Tullianum e la Cloaca
Massima, fra l’incendio gallico e l’ultimo della repubblica. Molto
anteriormente, fin dall’inizio della repubblica, sarebbe stato inaugurato il
Tempio capitolino, costruito allora in tufo e in legno, alla cui decorazione
avrebbero lavorato artisti etruschi di Veio. Con il trionfo dell’ellenismo e
dell’opulenza in Roma, i templi si costruirono interamente in pietra, come
quello cosiddetto della Fortuna Virile, ottimamente conservato al Foro Boario,
d’intorno al 100 a.C. Pianta e decorazione di questi templi seguono i modelli
greci. La fine della Repubblica vede anche il primo teatro in pietra, quello di
Pompeo. Un tipo architettonico contesto di elementi greci, ma che ebbe a Roma
particolare sviluppo, per comodità dell’intensa vita sociale, fu la basilica,
luogo di passeggio, di ritrovo, di udienza giudiziaria, di adunanza dei capi
pubblici. Già nella prima metà del II secolo a.C. sorse nel foro la grande
Basilica Emilia.
L’età classica dell’architettura
romana si inizia tuttavia insieme con l’impero. Già Giulio Cesare, oltre a
dare alla basilica Emilia il riscontro di quella Giulia, aveva iniziato la serie
di Fori Imperiali, che si prolunga fino a Vespasiano. I Fori comprendevano,
inclusi o annessi, grandi e svariati edifici: templi, basiliche, biblioteche,
colonne, archi di trionfo. A loro volta questi edifici associano talora alle
sontuosità costruttive e decorative di colonne, trabeazioni, fregi,
rivestimenti marmorei, un grande sfoggio di rilievi plastici, a scopo
illustrativo e celebrativo. Abbiamo così, dopo i rilievi dell’Ara Pacis
Augustea, i nastri scolpiti delle colonne Traiana e Antonina, veri rotoli
illustrati di Marmo, i rilievi degli Archi di Tito e più tardi di Settimio
Severo e di Costantino, senza contare quelli scomparsi. Nuove e ardite forme di
costruzione, talora grandiose fino al colossale, si affermano con la Domus Aurea
di Nerone, le costruzioni di Domiziano sul Palatino, i mercati traianei, il
tempio adrianeo di Venere e Roma (e le costruzioni di Villa Adriana), le Terme
di Caracalla e di Settimio Severo fino alle terme di Diocleziano e alla Basilica
di Massenzio o di Costantino. La scultura, oltre che nei rilievi storici seguita
ad affermarsi particolarmente nei ritratti, realisticamente vigorosi e
particolareggiati. Abbiamo conservata ancora oggi una serie iconografica presso
a poco completa degli imperatori, e di altri membri della famiglia imperiale.
Accanto ai busti sono anche numerose, nei due primi secoli dell’Impero, le
statue a figura intera, seduta (specialmente donne) o più spesso in piedi.
Un’altra abbondante produzione è quella dei sarcofagi, con rilievi mitologici
e simbolici.
Quest’ultimo genere si prolunga nei
secoli dell’impero, quando già la grande architettura e scultura vengono
meno. La decadenza si vede nell’Arco di Costantino, al principio del IV
secolo, ove le parti migliori sono quelle prese ai monumenti più antichi. La
utilizzazione e la dilapidazione dei monumenti antichi diviene un sistema, che
la Roma della decadenza imperiale tramanda a quella medievale, e tanto più alla
Roma del Rinascimento e Barocca.
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ARTE MEDIEVALE
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Nel rilievo di sarcofago e nella
decorazione pittorica parietale (compreso il mosaico) meglio si afferma la
continuità tra l’arte cristiana e la classica. Già nel II-III secolo e molto
più nel IV Roma cristiana ci presenta, dentro e fuori le catacombe, esemplari
numerosi dell’una e dell’altra produzione. Con identità di tecnica e
analogia di stile il cristianesimo esprime la sua vita spirituale nelle forme
del tempo, introducendo in esse un nuovo contenuto grazie anche al simbolismo
praticato pure nell’arte pagana. Di questa continuità e passaggio tra le due
arti, pagana antica e paleo-cristiana, che è naturalmente un fenomeno mondiale,
Roma forma uno dei centri ed offre un insieme di testimonianze fra le più
cospicue. La continuità della tradizione formale, tuttavia, non esclude un
cambiamento artistico, che si va operando profondamente nel passaggio
dall’antichità al medioevo, per influenza soprattutto dell’Oriente. Si
afferma una tendenza astratta per cui nella scultura il rilievo si appiattisce
in linearità geometrica, decorativo-simbolica, che schematizza la figura umana,
quando non la scaccia del tutto, mentre nella pittura e nel mosaico che
nettamente predomina, trionfano la rigidità ieratica e l’intensità
coloristica. In Roma si vede il prevalere graduale della nuova corrente
orientale-bizantina quando si passa dal mosaico di S. Prudenziana a quello dei
Ss. Cosma e Damiano, e da questo al mosaico di S. Agnese e alle pitture di S.
Maria Antiqua. Assai minore è a Roma l’influenza orientale
nell’architettura paleocristiana. Roma ci offre splenditi esemplari di antiche
basiliche cristiane in S. Maria Maggiore, Santa Sabina, S. Clemente. Esse
mantengono gli elementi essenziali della basilica romana (un rettangolo
preceduto da un atrio, diviso in navate da un colonnato e chiuso da un abside),
in una combinazione adatta ai nuovi scopi e trasformata da un nuovo spirito.
Accanto, però, agli edifici basilicali troviamo anche a Roma, sebbene scarsi,
quelli a pianta rotonda o a croce greca (Battistero del Laterano, S. Stefano
Rotondo), di concezione orientale.
Queste forme pittoriche, scultorie,
architettoniche, si mantengono a Roma durante l’alto medioevo, fino al periodo
carolingio compreso. Le basiliche di S. Marco, S. Prassede, S. Cecilia, S. Maria
in Domnica, ecc., ci presentano con i loro mosaici una ripresa di arte sacra
nella prima metà del IX secolo. Particolarmente splendida per colorismo la
cappella di S. Zenone in S. Prassede, mentre l’astrazione religiosa creò un
capolavoro nel mosaico di S. Marco; testimonianze di un arte pittorica più
popolare, più indipendente da quella bizantina, si possono riscontrare nella
chiesa inferiore di S. Clemente e nella cappella suburbana di S. Urbano alla
Caffarella.
Anche nel periodo romanico, la tradizione
dell’architettura basilicale persiste: si mantengono le chiese a colonne e
senza volta, e nella rifioritura culturale e costruttiva del secolo XII Roma
presenta, più che nuove costruzioni, ricostruzioni (S. Maria in Trastevere, S.
Clemente, i Santi Quattro Coronati, S. Maria in Cosmedin). L’influenza del
romanico lombardo si afferma in taluni parti costruttive-decorative (abside dei
Ss. Giovanni e Paolo), soprattutto nei tipici campanili rettangolari, alti e
stretti, animati da vari piani di finestrelle ad archi rotondi (S. Maria in
Cosmedin, S. Maria Nova - cioè S. Francesca Romana - Ss. Giovanni e Paolo, S.
Alessio, ecc.), in cui una nota di vivace colore è portata dalla policromia dei
dischi marmorei incastrati nella costruzione laterizia. Marmi policromi e
mosaici sono gli elementi con cui lavora la scuola di architetti-decoratori
detta cosmatesca, che riempì delle sue opere (portali, pavimenti, amboni,
cattedre, monumenti sepolcrali) la Roma dei secoli XII e XIII; e la decorazione
cosmatesca contribuisce essenzialmente anche alla bellezza dei chiostri di S.
Giovanni in Laterano e di S. Paolo (prima metà del secolo XIII).>
Ancora meno profonda del romanico fu
l’influenza del gotico in Roma, sia pure nelle forme attenuate proprie
dell’Italia. Unico cospicuo esempio di costruzione gotica è la chiesa di S.
Maria sopra Minerva, verso la fine del XIII secolo, mentre particolari romanici
e gotici s’innestano in S. Maria all’Aracoeli sulla pianta basilicale.
L’architettura gotica si afferma soprattutto nei tabernacoli (esempi massimi
quelli, alla fine del secolo XIII, di Arnolfo di Cambino in S. Paolo e S.
Cecilia) e combinata con la decorazione cosmatesca, nei monumenti sepolcrali
come quello del Cardinale Matteo d’Acquasparta (principio del XV secolo) in
Aracoeli. Rimane isolata un opera scultorea come la statua di Carlo d’Angiò,
dovuta pure ad Arnolfo.
In questo periodo, il mosaico figurativo
romano si stacca nettamente dalle tradizioni bizantine per la sua costruttività
espressiva. Esso ha una prima fioritura nella prima metà del secolo XII (abside
di S. Maria in Trastevere), una seconda alla fine del XIII, con Jacopo Torriti
(S. Maria Maggiore, S. Giovanni in Laterano) e Pietro Cavallini (S. Maria in
Trastevere). Quest’ultimo, contemporaneo più anziano di Giotto, segna altresì
il punto culminante (affreschi del Chiostro di S. Cecilia) di tutto uno
svolgimento di pittura romana risalente al XII secolo (affreschi di S. Giovanni
a Porta Latina) o anche più indietro. Giotto lavorò anch’egli a Roma, senza
esercitarvi un’influenza duratura.
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QUATTROCENTO E CINQUECENTO
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Dalla prima metà del secolo XIV alla prima
del XV l’arte subisce in Roma un’eclisse (ricordiamo tuttavia la scalinata
dell’Aracoeli alla metà del Trecento). Con la ripresa siamo già al
Rinascimento: esso viene a Roma dalla Toscana, e una delle primissime sue
manifestazioni sono le porte di bronzo di S. Pietro del Filarete, del tempo di
Eugenio IV, e subito dopo il sepolcro dello stesso in S. Salvatore in Lauro. Con
questo incomincia quella serie di monumenti funebri, disseminati nelle chiese e
nei chiostri di Roma, fra gli autori dei quali spiccano il toscano Mino da
Fiesole e il lombardo Andrea Bregno. E già Nicolò V concepisce il progetto del
nuovo S. Pietro, di cui il toscano Bernardo Rossellino inizia i lavori. Venne
anche a Roma, e vi morì (1472), Leon Battista Alberti.
Prime grandi manifestazioni delle nuova
architettura ecclesiastica sono S. Agostino e S. Maria del Popolo,
nell’architettura civile Palazzo Venezia, ancora misto di palazzo e
castello-fortezza, tutti dell’ultimo terzo del secolo XV. Alla svolta del
secolo abbiamo il magnifico rettangolo marmoreo della Cancelleria;
contemporaneamente Bramante crea con freschezza geniale il tempietto rotondo di
S. Pietro in Montorio, oltre il chiostro di S. Maria della Pace. La corte papale
accentra in sé l’opera artistica: dopo Nicolò V - che aveva anche chiamato
l’Angelico a dipingere una cappella in Vaticano - Sisto IV fa eseguire la
prima serie di affreschi alla Sistina. Al principio del Cinquecento Giulio II dà
l’impulso decisivo al nuovo S. Pietro e al grande agglomerato architettonico
del Palazzo Vaticano: Bramante, Michelangelo, Raffaello lavorano per Roma e per
il papato: successivamente essi fanno i piani e spingono avanti la costruzione
della Basilica; Bramante crea in Vaticano scale, cortili e logge, Raffaello
affresca le stanze, Michelangelo fa la volta della Sistina; quest’ultimo che
aveva già scolpito la pietà, disegna il Mausoleo grandioso di Giulio II, che
alla fine si ridurrà al gigantesco Mosé. Ma anche fuori dell’ambito
Vaticano, nel rinnovamento edilizio di Roma, si moltiplicano chiese e palazzi,
particolarmente nelle zone monumentali da via Giulia a via dei Coronari e piazza
Navona. Raffaello in particolare sviluppò una attività architettonica
notevole: oltre S. Pietro, la chiesa di S. Eligio degli Orefici, la cappella
Chigi in S. Maria del Popolo, palazzo Vidoni, villa Madama. Accanto a lui e dopo
di lui lavorano in Roma una pleiade di architetti insigni: Baldassarre Peruzzi,
Giuliano e Antonio da Sangallo il Giovane, che tutti insieme operano in Roma il
trapasso dalla prima Rinascenza, semplice e austera, alla grandiosità ancora
classicamente sobria del pieno Rinascimento. Prodotti massimi di questa attività
architettonica la piazza e i palazzi del Campidoglio, e palazzo Farnese, in cui
l’opera di Michelangelo si incontra con quella di Antonio da Sangallo il
Grande e di Giacomo Della Porta.
Raffaello lavorò splendidamente come
pittore anche fuori del Vaticano (affresco di Galatea alla Farnesina, le Sibille
in S. Maria della Pace, i mosaici della menzionata Cappella Chigi, ecc.), e fondò
in Roma una scuola pittorica il cui maggiore esponente è Giulio Romano. Anche
Michelangelo pittore ebbe seguaci in Roma (Daniele da Volterra). Nella scultura,
accanto a Michelangelo e a qualche opera ispirata da Raffaello, primeggiano i
toscani Andrea e Iacopo Sansovino: ricordiamo del primo i grandi monumenti
sepolcrali in S. Maria del Popolo, del secondo il gruppo della Madonna col
Bambino in S. Agostino.
Possiamo dire che nel primo quarto del
Cinquecento Roma è il maggior centro artistico europeo. Questa sua posizione fu
sconvolta dal sacco di Roma del 1527 (cui fece seguito una fuga di artisti verso
altre sedi) e non poté ristabilirsi integralmente, date le trasformazioni di
ambiente e di condizioni dovute agli avvenimenti politici (catastrofe
dell’indipendenza italiana) e ecclesiastici (Riforma e Controriforma). Essa
conservò tuttavia una posizione di primissimo piano, grazie soprattutto alla
sua condizione di sede del papato e all’attività di magnificenza dei
pontefici e delle famiglie principesche da questi fondate, e si affermò sempre
più, dal Cinque al Seicento, come scuola mondiale, a cui accorrevano artisti da
ogni parte d’Europa. Il pontificato di Paolo III (1534-1549) segna il
passaggio dal Rinascimento alla Controriforma. A questo passaggio corrisponde
artisticamente quello del Rinascimento maturo al tardo; potremmo tradurre, dalla
piena creatività geniale al manierismo degli epigoni. E tuttavia questo
periodo, che si apre col Giudizio universale di Michelangelo nella Sistina - ove
il titanismo del Maestro già volge al barocco - è anche quello che ci dà una
delle creazioni più alte, più perfette dell’arte universale; la
michelangiolesca cupola di S. Pietro. E in architettura abbiamo tutta una serie
di artisti in cui alla sapienza del mestiere si associa pur sempre vigore
creativo: Bartolomeo Ammannati (Palazzo Ruspoli), Giacomo della Porta, Giacomo
Barozzi detto il Vignola, Pirro Ligorio, Martino Longhi il Vecchio, Domenico
Fontana, Carlo Maderno. Costoro sono i primi a disegnare quello che rimarrà il
volto definitivo di Roma, in cui Rinascimento e Barocco su succedono e si
intrecciano. E’ questo il periodo della grandi e sontuose chiese del Gesù, di
S. Andrea della Valle, fino a S. Ignazio alla metà del Seicento. Ora si
completa l’architettura di S. Pietro, eseguendo la cupola michelangiolesca
fatta per la croce greca di Bramante, che viene invece prolungata in croce
latina e munita della facciata dal Maderno, in attesa della decorazione interna
barocca dovuta principalmente al Bernini e seguaci.
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ARTE BAROCCA E MODERNA
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Apre la via del barocco in Roma Sisto V
(1585-1590) con la sua opera edilizia e pianificatrice. Il grande architetto e
scultore del barocco romano fu Gian Lorenzo Bernini, che riempie di sé il
secolo XVII (1598-1680), e l’Europa del tempo. Grazie a lui nella Roma barocca
l’imponenza delle masse gareggia con l’arditezza e la novità delle linee, e
l’una e l’altra si inquadrano in prospettive e sfondi pittorescamente
portentosi. Il colonnato di S. Pietro e Piazza Navona con la Fontana dei Fiumi
sono i suoi massimi trionfi. Accanto e contro Bernini spiega la sua virtuosità
raffinata Francesco Borromini (S. Agnese a piazza Navona, S. Carlino alle
Quattro Fontane, i campanili della Sapienza e di S. Andrea delle Fratte).
Realizzazioni architettoniche originali e grandiose sono anche quelle di Pietro
da Cortona. La scultura barocca grandeggia anch’essa - associata spesso
intimamente all’architettura - grazie soprattutto al Bernini medesimo accanto
a cui è Alessandro Algardi, amatore del rilievo pittorico. La pittura del
periodo post rinascimentale a Roma è la parte meno attraente: dominano dapprima
completamente gli eclettici bolognesi, i due Carracci, Guido Reni, il
Domenichino, il Guercino, mentre il geniale precorritore della pittura moderna,
Michelangelo da Caravaggio, contemporaneo dei Carracci, passò inapprezzato. La
pittura barocca si affermò con il Cavalier d’Arpino Pietro da Cortona, il
Sacchi, il Maratti.
Il Seicento romano aggiunse come elemento
fondamentale alla chiesa e al palazzo la Villa - tuttavia non ignota al
Rinascimento - nella quale particolarmente si afferma il preromanticismo del
periodo barocco. Sono innanzi tutto le famiglie papali che operano questa novità.
E’ del primo quarto del secolo Villa Borghese, della metà Villa
Doria-Pamphily. Le ville, sorgenti alla periferia, hanno i loro palazzi interni
o Casini; ma nel centro della città continua, anzi si intensifica, la
costruzione dei palazzi principeschi, per opera sempre in prima linea delle
dinastie originate o rafforzate dai pontefici. Il Settecento aggiunge alla
fisionomia di Roma altre grandiosità scenografiche e la grazia capricciosa del
rococò. Ricordiamo la scalinata di Piazza di Spagna, la facciata di S. Giovanni
in Laterano, la facciata di Palazzo doria al Corso, la Fontana di Trevi.
Nella seconda metà del secolo le teorie
erudite di Winckelmann e l’influenza delle raccolte d’arte classica che (in
parte per opera di Winkelmann stesso) incominciano a moltiplicarsi - a Roma:
villa Albani, museo Capitolino, museo Vaticano - promuovono, insieme con altri
fattori, una rinascita di classicismo. E del neoclassicismo Roma è uno dei
centri massimi, in architettura, scultura e pittura. Precede la prima con Luigi
Vanvitelli; nella seconda grandeggia e domina Roma, l’Italia e l’Europa,
Antonio Canova (monumento Rezzonico in S. Pietro); per la terza fu maestro
freddo, accademico, Raffaele Mengs (il Parnaso di Villa Albani).
Al principio e per tutta le metà del
secolo XIX il neoclassicismo continua e domina a Roma, ove accanto al Canova
lavora il danese Thorwaldsen, mentre in pittura primeggia il Camuccini, e matura
la scuola tedesca dei Nazareni. Il capolavoro dell’architettura neoclassica è
nel periodo napoleonico la sistemazione di Piazza del Popolo e del Pincio a
opera del Valadier. In seguito il neoclassicismo si cristallizza e anemizza. Nel
corso del secolo XIX Roma seguita a prosperare come scuola artistica europea, ma
ha ormai esaurito il suo vigore creativo. Né la Roma italiana può dirsi che ne
segni una ripresa, nonostante costruzioni notevoli, come il Monumento a Vittorio
Emanuele del Sacconi e il Palazzo di Giustizia del Calderini. Si sviluppa,
invece, l’opera di restauro e soprattutto di scavo che nelle bassure del Foro
e sull’alto del Palatino contribuisce potentemente a perfezionare la
fisionomia incomparabile originale della città, associando indissolubilmente in
classicismo dei resti architettonici al romanticismo delle rovine: opera che si
completerà nella prima metà del XX secolo con l’escavazione e l’isolamento
dei Fori imperiali.
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ROMA NELLA STORIA DELLA CIVILTA’
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Nessuna altra città, nessun altro stato
presenta alternative di grandezza e di decadenza così accentuate come Roma
nella sua esistenza di più che venticinque secoli: alternative, tuttavia, la
cui curva risultante rimane ad una altezza senza pari nella storia del mondo.
Ancora più difficile sarebbe trovare in questa storia un altro oggetto di
sentimenti così intensi e così contrastanti fra loro.
L’idea di Roma, la passione pro e contro
Roma, la influenza primaria di Roma nel corso della civiltà si iniziano con
l’assoggettamento dell’Italia peninsulare effettuato in sostanza nel corso
del IV secolo a.C. L’assoggettamento non si trasforma in vera e propria
unificazione se non dopo la guerra sociale, poco prima della metà del primo
secolo a. C. Nel frattempo, la forza di attrazione esercitata da Roma è già
divenuta grandissima, come il centro e motore politico e culturale non solo
dell’Italia, ma dell’occidente europeo. Già nel primo secolo avanti Cristo
Roma è, accanto ad Alessandria, ad Antiochia, alla scoronata ma pur sempre
prestigiosa Atene, una capitale dell’ellenismo. Prima ancora, fin dal tempo
della seconda guerra punica, essa è la capitale intellettuale della penisola
italica, quella a cui vengono l’umbro Plauto, il campano Nevio, il calabrese
Ennio, l’insubro Cecilio e perfino, già allora, l’africano Terenzio. Ben più:
rovesciando il famoso detto: Graecia capta ferum victorem coepit, Roma
vincitrice compie, già nel secondo secolo, la conquista morale del greco
Polibio, cioè di uno dei più alti ingegni e dei cervelli più quadri del mondo
ellenistico: il difensore dell’indipendenza greca, trasportato a Roma come
ostaggio, si converte al domma del dominio giusto e necessario di Roma sul
mondo. E non solo il politico e storico Polibio, ma il filosofo storico Panezio
- fonte e modello a Cicerone per il De Officiis - predica il diritto del
superiore popolo romano a governare i popoli inferiori. Per contrapposto, ancora
nel secolo seguente, le voci dell’opposizione, impregnate di collera e
d’odio, non tacciono: e si traducono, quando possono, nei fatti. In Italia il
sannito Ponzio Telesino, uno dei capi della guerra sociale, esclama che i lupi
divoratori dell’italica libertà non cesseranno finché non sarà estirpata la
selva in cui si annidano, Roma. Fuori d’Italia, il campione antiromano
Mitridate trova in Asia Minore un terreno così ben preparato che può far
compiere in un colpo la strage di ottantamila italici. Giudei zelanti della
patria, della Legge e del Tempio - tutt’uno per essi - interpolano i Libri
sibillini predicendo con gioia furente la catastrofe dell’aborrita signora del
mondo. E la catastrofe sembra venire: nelle guerre civili, incalzanti in
ripetute furiose riprese, Roma minaccia di soccombere: Bruto si uccide
disperato, gridando che la virtù è un nome vano. Ma il mondo civile si sente
coinvolto nella minacciata catastrofe: esso sperimenta che i mali di Roma sono i
suoi, che il suo destino fa ormai tutt’uno con quello romano. La pace augustea
è salutata con altrettanta gioia in Oriente che a Roma. Altari si elevano
all’imperatore e all’Urbe. E Virgilio può intonare senza contraddizione da
nessuna parte il Te regere imperio populus, Romane, memento; e Orazio innalzare,
a nome di tutti gli uomini civili, il voto e l’auspicio che il Sole non sia
mai per illuminare dei suoi raggi nulla di più grande di Roma. Adesso, Roma è
senza contrasto la capitale del mondo, non solo politica ma culturale. Vi
accorrono i filosofi delle scuole ellenistiche, i predicatori dei culti
orientali; vi affluiscono, per amore o per forza i capolavori dell’arte greca
classica e post-classica, e vi prendono stanza gli artisti contemporanei,
promotori di nuovi indirizzi; viaggiano instancabilmente a Roma e da Roma i
mercanti che stringono in una rete di affari tutto il mondo mediterraneo. Tutto
il bene ed il male, tutto il bello ed il brutto del mondo affluiscono a Roma,
tesoro e sentina universale. Ma per i due primi secoli dell’Impero, il tesoro
mette in ombra la sentina. Giovenale ha un bel lanciare i suoi fulmini
moralistici: Plutarco di Cheronea riconosce che il dominio di Roma è un bene,
che esso assicura la pace; Dione di Prusa vede nell’Impero romano
l’incarnazione della stoica Città del mondo. Sotto Antonino Pio, Elio
Aristide scioglie l’inno all’impero veramente universale, retto con arte
politica suprema, e i cui sudditi sono uomini liberi e prosperi. E i culti
orientali dilaganti non domandano di meglio se non di associarsi alle fortune
dell’Impero, consacrandole col crisma della religione. Uno però di questi
culti non si associa al coro, oscillando fra l’obbedienza passiva e la
condanna. Il cristianesimo contrappone all’imperatore divinizzato, Cristo Dio,
al diritto e alla spada romani, il Vangelo e la Croce. Tutti i valori di Roma
antica sono rimessi in questione; e, dopo scontri occasionali e parziali, viene
l’aperto e decisivo conflitto. Ma al conflitto succede la pace: ed è pace
cristiana e romana insieme. Sono riconosciuti da una parte i diritti di Dio e
della Chiesa, e anzi protetti e ampliati. Ma dall’altra si accetta e si
assimila l’organizzazione romana, e se ne riconoscono i benefici per il
cristianesimo, si finisce anzi per proclamare la provvidenzialità
dell’Impero. E ci si appropria della cultura antica per promuovere e divulgare
la nuova fede.
Così, adesso, Roma cambia, unifica e
centralizza in se due mondi. Al principio del V secolo dopo Cristo, S. Ambrogio
e S. Girolamo hanno accenti di patriottismo romano, mentre il pagano Rutilio
Namaziano scioglie e Roma antica un cantico supremo di esaltazione: Di diversi
popoli hai fatto una sola Patria ... hai fatto dell’Orbe l’Urbe.
Pure, siamo ai tempi tristi: l’Impero
d’Occidente vacilla e cade, e Roma propriamente non comanda più a nulla,
prima ancora della caduta. Re barbari governano nell’Urbe; ma essi si
inchinano davanti all’idea dell’Impero, rispettano il Vescovo di Roma,
vorrebbero allevare i loro guerrieri nella civiltà romana. La guerra Gotica
mette bruscamente un termine a questi tentativi; e per un momento si dubita che
l’ultimo giorno di Roma, occupata da Totila, sia giunto. Ma il re gotico
arretra innanzi alla maestà di Roma, come un secolo prima aveva arretrato
Attila. Roma sopravvive, protetta ugualmente dal ricordo di Cesare e dal
sepolcro di Pietro: ma per più di un secolo rimane in ombre, quasi fuori dalla
storia.
Sono i pellegrini d’oltralpe -
specialmente anglosassoni - quelli che la riportano al proscenio. In un
misterioso bilanciamento, all’estrema decadenza materiale corrisponde
l’inizio della suprema elevazione religiosa. I nuovi popoli germanici, o
romano germanici, si fanno zelatori, propugnatori della devozione al principe
degli Apostoli: Roma è grande sopra ogni città perché custodisce la tomba di
Pietro, e perché vi risiede il suo successore. Vicino a questa tomba i
transalpini stabiliscono le loro colonie, le loro chiese. Roma ritorna città
cosmopolita. A Pietro, Pipino e poi Carlomagno portano il soccorso delle loro
armi contro i Longobardi; è il “Patrimonio di S. Pietro”, che essi rendono,
o donano, fondando il potere temporale.
Roma papale contraccambia con la corona
imperiale; ma è un contraccambio che si risolve in un suo nuovo innalzamento.
Con il nuovo Impero d’Occidente, o Sacro Romano Impero, Roma ritorna
idealmente il centro politico europeo. Idealmente, perché la forza è altrove;
ma anche l’idea ha una sua forza. Per dieci secoli la corona imperiale romana
rimane il fastigio dell’Europa; e per sette secoli essa viene conferita
materialmente in Roma dal pontefice romano. E mai come nel Medio Evo Roma, che
non era padrona neppure di se stessa, fu detta e sentita caput mundi.
L’idealismo di Ottone III, che insieme al pontefice pensava di governare da
Roma il mondo cristiano, aveva un suo fondamento nella coscienza universale.
Il dominio del diritto canonico,
l’autorità delle decretali pontificie, le teorie teocratiche di Gregorio VII
e di Innocenzo III, e più efficacemente delle teorie la centralizzazione
effettiva della Chiesa sotto la Curia romana, hanno per risultato altrettante
attuazione della persistente idea romana. Grazie alla Curia, Roma è veramente,
in quel basso Medio Evo che è una prima Rinascenza, il centro dell’Europa. Ma
qui rinasce l’altro sentimento dominante nei confronti di Roma, quello
dell’avversione. La cupidigia romano-ecclesiastica è un leit-motiv delle
polemiche e anche dei semplici detti e scherzi medievali. Dio non Trino a Roma
ma quattrino; Accipe, sume, cape, Tria sunt potissima papae, e via dicendo.
Aggiungendovi alla cupidigia la corruzione Roma torna ad essere per molti - e
fra i più ferventi cristiani - la Babilonia apocalittica. I movimenti
spiritualistici e le sette scismatiche, da Arnaldo da Brescia ai Fraticelli
passando per Federico II e Dante, appuntano contro Roma papale le loro saette,
giungendo a fare un idolo d’odio di quel che era stato in altri tempi ed era
per altri, una divinità di amore.
La doppia eclissi del papato avignonese e
dello scisma d’occidente abbassa e strema materialmente Roma, non ne distrugge
il prestigio. Proprio allora Cola di Rienzo rinnova il sogno dell’Impero
romano; e dal ristabilimento in Roma del pontefice unico gli spiriti religiosi
aspettano la salvezza della Chiesa, attraverso la sua riforma. Il ristabilimento
avviene, ma l’aspettativa è delusa. Il papato diviene principato italiano,
trascura gli affari ecclesiastici, da scandalo di mondanità e di corruzione ai
fedeli. Pure, la Roma del Rinascimento rappresenta una nuova fase, e tra le più
splendide, della grandezza mondiale della città: la fase culturale e più
praticamente artistica. A Roma affluiscono gli umanisti; in Roma si creano
capolavori dell’architettura, pittura e scultura della Rinascenza: a Roma
lavorano Mino da Fiesole e Melozzo da Forlì, Filippo Lippi e Pinturicchio,
Raffaello e Michelangelo; S. Maria del Popolo, il Vaticano, San Pietro, le nuove
vie stendentesi fra due fili di palazzi, fanno di Roma la più bella città del
mondo.
Roma diviene così la scuola mondiale delle
arti, e - grazia soprattutto alla Biblioteca Vaticana, creazione della
Rinascenza sviluppata dalla Controriforma - un centro di cultura europea. Ma
torna al tempo stesso capitale religiosa; lo diviene anzi più che non lo fosse
stata mai precedentemente. I due settori, l’artistico-culturale e il
religioso-ecclesiastico, sono fra loro in stretti rapporti. Alla Riforma si
oppone la Controriforma, che dopo inizi spontanei e molteplici si accentra
naturalmente intorno al papato romano. Ora più che mai, Roma è per gli uni il
cielo per gli altri l’inferno: per tutti è al sommo dei pensieri. Una serie
vigorosa di pontefici e di grandi personaggi ecclesiastici prende e tiene in
mano la direzione del movimento. E anche quando, dalla metà del Seicento, la
tensione viene meno, la posizione dominante di Roma, centro ecclesiastico e
scuola d’arte, rimane.
Nel Settecento il primo aspetto subisce una
forte eclissi mentre persiste e si sviluppa il secondo. Da Roma Winckelmann
bandisce il verbo del classicismo; a Roma Goethe matura il passaggio dallo Sturm
und Drang alla sua arte olimpica; da Roma Canova insegna per decenni la bellezza
formale all’Europa.
Col secolo XIX questa posizione eminente
artistico-culturale di Roma diminuisce assai. In compenso, si rialza quella
ecclesiastica, e anche politica. Il secolo XIX è, in un certo senso, il secolo
del Papato: quello in cui esso ha toccato il culmine del suo potere sulla
Chiesa, e il suo prestigio si è rialzato fino alle vette odierne. La devozione
al papa si può dire che sorga nel secolo decimonono (specialmente dopo il
1870), e si sviluppa in pieno nel ventesimo. Al tempo stesso, il secolo
decimonono ha visto anche fiere battaglie politico-ideologiche contro il papato,
congiunte con l’evoluzione degli stati moderni e particolarmente con il
Risorgimento italiano. Tutto questo ha concorso a mettere sempre più Roma al
primo posto della scena mondiale, mentre intorno ad essa si sono anche
concentrati i contrastanti movimenti d’idee e correnti d’azione che hanno
portato all’unità d’Italia. Tanto la questione del potere Temporale, con il
relativo conflitto tra Papato e Stato italiano, quanto la Conciliazione e i
Patti del Laterano hanno attirato gli sguardi del mondo su Roma. Anche
indipendentemente da ciò i venti anni tra le due guerre mondiali e il secondo
dopoguerra hanno visto un accrescimento di potere e di prestigio della Roma
papale. Nell’Anno Santo 2000, milioni di visitatori affluenti a Roma
riconfermano il dominio incomparabile della città eterna nel mondo dello
spirito.
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