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Uscendo dalla Chiesa di S. Maria in Cosmedin e voltando a sinistra si prende la via dei Cerchi che raggiunge via del Circo Massimo, che sale al Piazzale Romolo e Remo, a mezza costa sull’Aventino. L’Aventino (m 40), sebbene incluso, per ragioni strategiche, entro le mura di Roma nel III secolo, rimase pressoché disabitato e fuori del pomerio (la cinta Sacra) per tutta l’epoca repubblicana. I plebei in lotta con i patrizi vi effettuarono ripetutamente la secessione; Caio Gracco vi cercò invano rifugio contro le bande nobiliari. Sotto l’impero vi sorsero magnifici templi e divenne un quartiere aristocratico, devastato dai Goti di Alarico nel 410, e da allora poco abitato, come il Celio, fino ad epoca recente. Il colle si divide in due eminenze: quella a Nord, il vero Aventino dell’antichità, ove sono le Chiese di S. Anselmo, S. Alessio, S. Sabina, S. Prisca, e l’altra a Sud detta il piccolo Aventino, con le Chiese di S. Saba e di S. Balbina. Il principale accesso è dal viale dell’Aventino (antico clivius piscinae publicae), che traversa da SO a NE l’insellatura tra le due cime e congiunge il Testaccio con la Piazza di Porta Capena. Per chi voglia osservare le antichità dell’Aventino, si notano qui quelle che non hanno negli itinerari turistici speciale descrizione. Sulle pendici del colle, nel convento di S. Sabina, scavi diretti dai Domenicani nel 1855 e nel 1936 hanno messo in luce un tratto della Cinta Serviana, con edifici addossati alcuni all’interno, di epoca sillana, e altri all’esterno, di epoca augustea (affreschi e grafiti), ridotti posteriormente a terme. Grandiose muraglie laterizie sotto la villa dei Cavalieri di Malta e l’arco medioevale di S .Lazzaro in via della Marmorata, appartengono agli Horrea, i magazzini del porto fluviale. Nel punto ove il viale dell’Aventino si allarga sulla piazza Albania, esisteva un importante porta del recinto serviano, la Raudusculana. Le mura formavano qui un imbuto rientrante: i due tratti di mura, ancora riconoscibili, secondo l’ipotesi più accreditata, al periodo delle guerre annibaliche. La via di S. Maria del Priorato, che scende a via della Marmorata, passa presso il magnifico bastione di Paolo III, nel punto ove esisteva l’antica porta serviana Lavernalis. Sotto il casino della Vigna Maccarand-Torlonia e la Piazza del Tempio di Diana, si vedono le rovine delle terme Deciane, sistemate dal Governatorato; sotto S. Anselmo, quelle della casa detta Traiano; sotto S. Saba, altre case romane. Sul piazzale Romolo e Remo, da dove eravamo partiti, sorge il monumento a Giuseppe Mazzini (scultore Ettore Ferrari), inaugurato in occasione del centenario della Repubblica Romana (1849-1949): la statua di bronzo di Mazzini, rappresentato seduto in meditazione, si eleva sopra un vasto basamento di marmo, con statue altorilievi. Dal piazzale si gode un vastissimo panorama, da S. Pietro a sinistra. Allo sfondo lontano dei colli Albani a destra. Affascinante al tramonto la veduta delle rovine del Palatino (vedi foto panoramica) e della valle del Circo Massimo. In basso gli scavi del Circo Massimo. L’ampia distesa di esso è ancora oggi disegnata dalla valle situata tra il Palatino e l’Aventino, lunga quasi mezzo chilometro, con i carceres, cioè le stalle di partenza delle quadrighe, situati sotto l’ex palazzo dei Musei e il lato ricurvo di fronte all’ingresso del Parco di Porta Capena. Su questo lato sono visibili notevoli avanzi di gradinate, di fornici e di scale per salire i ripiani superiori. Tali avanzi appartengono all’età di Traiano, quando il Circo fu restaurato e ampliato fin quasi a toccare il Palatino. La tradizione lo dice fondato dai Tarquini nel luogo ove sarebbe avvenuto il ratto delle Sabine. In realtà l’edificio in muratura dovette sorgere vari secoli dopo, forse non prima del II secolo a. C.. Cesare vi dette nel 46 a. C. Una finta battaglia di 1000 fanti, 600 cavalieri e 40 elefanti. Augusto costruì il palco imperiale alle falde del Palatino; l’incendio neroniano del 64 e un altro sotto Domiziano lo distrussero quasi interamente. Il nuovo circo fu terminato da Traiano al principio del II secolo; Caracalla lo ampliò ancora; Costantino lo restaurò dopo un crollo parziale avvenuto sotto Diocleziano. In quei tempi sembra potesse contenere più di 300.000 spettatori. Totila vi fece svolgere le ultime gare nel 549. Nel lato curvo, le medioevale Torre della Moletta. Dal piazzale Romolo e Remo si prende la via di valle Murcia che si addentra nel Palatino sboccando nella via di S. Sabina. Prendendo a sin. la via di S. Prisca, si va alla chiesa di S. Prisca, forse del v secolo, eretta su fondamenta romane che una tradizione identifica con la casa di Aquila e Prisca, coniugi cristiani di Roma menzionati da S. Paolo e presunti ospiti di S. Pietro. Nell’INTERNO sono visibili le antiche colonne incorporate nei nuovi pilastri. Negli ultimi scavi è stato scoperto un Mitreo, con notevoli avanzi di pitture alle pareti. Nel battistero recentemente ricavato nella cripta e dedicato al benefattore Giovanni Carcano, il fonte battesimale è costituito da un gran capitello dorico incavato, che una tradizione vorrebbe fosse servito a San Pietro, ma che è da attribuirsi invece all’epoca degli Antonini. La via di Santa Sabina sale verso SO, lasciando a destra il Parco dell’Aventino, su disegno di Raffaele De Vico, aperto al pubblico nel 1932. Bel panorama di Roma, dalla dorsale della Trinità dei Monti e di Villa Medici a destra, allo sfondo del Gianicolo o di Monte Mario sulla sinistra. Subito dopo si giunge alla piazza Pietro d’Illiria, ove prospetta il fianco destro (con 13 finestre di selenite e un pronao quattrocentesco) della chiesa di S. Sabina, la gemma dell’Aventino. Venne fondata da Pietro, prete d’Illiria (425-32) su di un antico « titulus Sabinae », sorto probabilmente nella casa di una matrona Sabina, che finì poi per identificarsi con la omonima santa umbra. Eugenio II nell’824 vi aggiunse la schola cantorum, l’iconostasi, gli amboni, il ciborio. Onorio III nel 1219 la dette a S. Domenico per il suo Ordine; ebbe allora il campanile (mozzato nel secolo XVII) e il bel chiostro. Seguirono altri restauri, fino alla trasformazione interna del 1587 per opera di Domenico Fontana. Ai nostri giorni il governo italiano (1914-19) e l’Ordine domenicano (1936-38) provvidero al ripristino, effettuato da Antonio Munoz e dal Padre Berthier. Si entra a sinistra in un VESTIBOLO medioevale ad arcate, sostenute da 4 colonne scanalate di marmo e 4 di granito. Nelle pareti, resti del portico primitivo, distrutto nel secolo IX. A destra, il portale centrale della chiesa chiuso da una porta di legno dei V secolo, con 18 pannelli scolpiti, alternativamente grandi e piccoli, riproducenti scene dei Due Testamenti. Dall’alto e da sinistra: 1^ fila, Crocifissione (una delle più antiche oggi esistenti); Guarigione del cieco; Moltiplicazione dei pani; Nozze di Cana; Confessione di S. Tomaso; Vocazione di Mosé; Gesù davanti a Pilato. 2^ fila, Resurrezione; Mosè e le acque di Mara; Miracolo degli uccelli; La manna; L’acqua dalla pietra; Apparizione di Gesù alle donne; Trionfo dell’impero cristiano. 3^ fila, Epifania; Ascensione; Rinnegamento di Pietro; Passaggio del Mar Rosso; Miracolo del serpente. 4^ fila, Cena di Emmaus; Trionfo di Cristo e della Chiesa; Rapimento di Abacuc; Rapimento di Elia; Mosè davanti al Faraone. Questi quadri ricordanti i bassorilievi dei sarcofaghi paleocristiani, furono nell’XI secolo inghirlandati da un bel ramo di vite (qua e là, sul ramo, qualche lucertola). Sotto l’atrio, avanzi di una casa romana del secolo IV. L’INTERNO (si entra dal fianco destro) basilicale, semplice, luminoso e solenne, diviso in 3 navate da 24 colonne scanalate, corinzie, di marmo pario (forse provenienti da un vicino tempio pagano), collegate da archi, ricorda quello delle magnifiche basiliche ravennati. I mosaici del V secolo che lo decoravano sono scomparsi; resta solo, sopra il portale principale, una fascia a mosaico (m 13.30 x 3.10) appunto del V secolo, con un’iscrizione metrica (attribuita a S. Paolino da Nola), a belle lettere d’oro su fondo azzurro, che porta i nomi di Pietro d’Illiria e del papa del tempo, Celestino I. Alle estremità dell’iscrizione, due figure muliebri rappresentanti la chiesa nata dai Gentili (ecclesia ex gentibus, a destra) e dal Giudaismo (ex circumcisione). Le finestre, ripristinate sulle tracce antiche, sono a transenne di diverso disegno, costruite con selenite (metallum gypsinum), già qui impiegata nel secolo IX; essa dà alla chiesa quel fulgore argenteo per cui brilla nel panorama di Roma. Gli archi che sostengono le pareti della NAVATA MEDIANA, qui per la prima volta in Roma sostituiti all’architrave, sono ornati da un fregio di marmi policromi (opus sectile), del V secolo, a specchi rossi e verdi sormontati da croci, che si ripetono nell’abside. Il soffitto si deve all’ultimo restauro. Nel mezzo della navata, la bella pietra tombale (unica a Roma in mosaico) di Munoz da Zamora, generale dei Predicatori (m. 1300). La SCHOLA CANTORUM, con gli amboni, è stata ricostruita con i pezzi antichi (XI secolo), ritrovati nel pavimento e nei muri, completati con riproduzioni a graffito. Così pure è stata riprodotta nell’ABSIDE la cattedra episcopale, cori gli autentici grifi, ritrovati durante i lavori. Il catino è adorno da un affresco dei frati Zuccari (XVI secolo), che ripete, con l’aggiunta di santi nuovi (S. Domenico, ecc.), il disegno dell’antico mosaico (conservato in parte sotto la pittura). Al disopra, sono riprodotti nel restauro odierno i medaglioni dei santi e le due città simboliche dell’antico mosaico. NAVATA DESTRA. colonna antica, interrata per circa tre quarti sotto il pavimento, ricordo di costruzione preesistente alla chiesa. Segue la cappella di S. Giacinto (XVI secolo), tutta affrescata da Federico e Taddeo Zuccari con fatti della vita di S. Giacinto. In fondo alla navata, a destra, la tomba del Cardinale spagnolo Auxia di Poggio, arcivescovo di Monreale (m. 1484; ebbe il titolo di S. Sabina), della scuola di Antonio Bregno, con bella iscrizione: ut moriens viveret vixit ut moriturus (per vivere quando fosse morto, visse come chi sa di dover morire). Scavi recenti hanno messo in luce, sotto la navata, un edificio in laterizio (inizio del III secolo) e imponenti avanzi di un edificio a colonne di epoca repubblicana. NAVATA SINISTRA: cappella d’Elci, della fine del secolo XVII, affrescata dall’Odazzi. Sull’altare, Madonna del Rosario, tra S. Domenico e Santa Caterina, del Sassoferrato (1643). Annesso alla chiesa è il CONVENTO, fondato nel 1220 da S. Domenico, nel quale tenne cattedra S. Tommaso d’Aquino; esso conserva un bel chiostro romanico, con un portale moderno al centro. Ripresa via di S. Sabina, subito a destra il basso fabbricato che chiude il cortile di S. Alessio, chiesa anteriore al X secolo e dedicata prima a Bonifacio, poi, da Onorio III (1217), a S. Alessio. Nel X secolo i Crescenzi vi costruirono accanto un convento, passato dai Basiliani ai Benedettini e infine ai Premostratensi. La facciata consta di un portico, di un piano di finestre e della balaustra dal tetto a terrazza; a destra, il bel campanile romanico. Dall’alto portale cosmatesco si passa nell’INTERNO a tre navate ampio e luminoso, come lo rifece nel 1750 Tommaso De Marchis. Al principio della navata sinistra si mostra la scala di legno sotto cui avrebbe vissuto S. Alessio. In fondo all’abside, 2 colonnine superstiti delle 19 eseguite da Giovanni Cosma. Nel pavimento si vede una parte cosmatesca restaurata. Nella CRIPTA, affreschi del XII o XIII secolo. Da via S. Sabina, subito dopo la chiesa, si entra nel CHIOSTRO rettangolare, con un portico di 26 colonne disuguali e, nel mezzo, un pozzale a colonnette. Si giunge quindi nella pittoresca piazza dei Cavalieri di Malta, circondata da piccoli obelischi con ornamenti del Piranesi (seconda metà del secolo XVIII), che ricordano le sue incisioni. Dietro si alzano i cipressi del giardino dei Benedettini; in primo piano, grande lapide di Clemente VIII. A destra, la Villa del priorato di Malta, appartenente all’Ordine Sovrano di Malta, sopravvivenza degli Ospedalieri di S. Giovanni (poi di Rodi). Qui fu la dimora di Alberico «Princeps Romanorum ». Osservando dal foro praticato sopra la serratura si ha un colpo d’occhio celebrato: all’estremità di un viale, la cupola di S. Pietro. Il PRIORATO ha al 2° piano una sala coi ritratti di tutti i gran maestri dell’Ordine, da Gerardo (1113) a oggi. Dal giardino (in cui s’innalza uno dei più bei palmizi di Roma) si entra nella chiesa di S. Maria del Priorato, appartenente anch’essa all’Ordine Sovrano di Malta, completamente rinnovata e decorata da G. B. Piranesi (1765), che ne fece una primizia neoclassica. INTERNO. A destra, tomba del vescovo Spinelli (in alto, sarcofago con le Muse); statua del Piranesi (m. 1778, ivi sepolto), di Giuseppe Angelini; monumento di Bartolomeo Carafa (m. 1405), di Paolo Romano. Nella 3^ nicchia a sinistra, reliquiario di marmo, stile lombardo, fatto verso la fine del Mille sul modello di urna cineraria antica. In alcune sale adiacenti, interessante raccolta di ricordi dell’Ordine. Di fronte al Priorato (ingresso da via di Porta Lavernale) è il grande Seminario Internazionale Benedettino, eretto nel 1892-96, con la chiesa di S. Anselmo in stile romanico-lombardo, sui piani del P. Hildebrand de Hemptinne (1900; vasta cripta). Si scende per via di porta Lavernale fino a piazza S. Anselmo, poi si prende a sinistra via di S. Anselmo e si sbocca sul vasto piazzale Albania (dal monumento a Giorgio Castriota Scandenberg, l’eroe albanese). A destra, bel tratto di mura serviane, lungo c. 30 m e alto fino a 16 filari di massi. Si traversa la piazza e si sale di fronte sul piccolo Aventino, percorrendo la via di S. Saba. A sinistra alcuni scalini sormontati da un protiro, portano nel cortile di S. Saba, chiesa dedicata nel VII secolo al monaco di Cappadocia organizzatore e capo del monachesimo orientale (in. 532) sul luogo ove era la casa-oratorio di S. Silvia, madre di S. Gregorio Magno. La chiesa, rifatta nel 1205, restaurata nel 1465 e poi nel 1909, ha una facciata romanica, con un tozzo campanile, occultata da un portico a pilastri e da una loggia superiore a colonnine (restaurati). Sotto il PORTICO sono notevoli un grande sarcofago (sposi con Giunone pronuba e, nel lato destro, grifone); alcuni bassorilievi, forse appartenenti alla decorazione esterna della chiesa, e un bel portale cosmatesco, con rara iscrizione del pontificato di Innocenzo III (1198-1216). INTERNO a tre navate divise da 14 colonne antiche e con una quarta navata (su 3 colonne antiche) aperta a sinistra; la schola cantorum è rifacimento moderno con gli antichi ornamenti cosmateschi; anche il pavimento è in parte cosmatesco; il tetto della navata mediana è a capriate visibili. Resti di antiche pitture (sotto vetro), sarcofagi, transenne, sono lungo i muri e provengono dai sotterranei. Dietro l’altare, semplice sedia episcopale decorata da magnifico disco di marmo cosmatesco, con croce. Sotto il tetto, fregio con gli stemmi dei Piccolomini, che lo restaurarono. Rivolgersi in sagrestia per scendere nell’oratorio di S. Silvia: a fianco dell’ingresso, 2 colonne interrate che mostrano l’antico livello. Avanzi di affreschi (VII e XII secolo), un’absidiola, 2 iscrizioni enigmatiche e qualche rudero. Dietro la chiesa, attorno alla piazza G. L. Bernini e fino alle pendici sovrastanti il parco di Porta Capena e le Terme di Caracalla, si stende il Quartiere di S. Saba.
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