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Fori ImperialiBack
 
Tutta la zona a nord del Foro Romano, tra il Campidoglio da una parte, il Quirinale, il Viminale e l’Oppio dall’altra, al tempo della Repubblica era ingombra di costruzioni private che soffocavano il Foro Romano, impedendo l’estendersi fuori di esso, ormai troppo angusto, della vita pubblica. Perciò già negli ultimi tempi repubblicani dovè formarsi il proposito, fatto proprio da Giulio Cesare prima ancora della sua dittatura, di facilitare l’espansione della vita cittadina verso il Campo Marzio. Di qui ebbe origine la successiva costruzione dei Fori Imperiali, piazze circondate da portici, basiliche, templi, destinate ai giudizi, alle riunioni, alle cerimonie, ai commerci e a dare alla città un aspetto più grandioso. Le serie, inizia da Giulio Cesare con la costruzione del suo Forum Iulium (54-44 a.C.), continuò con il Foro d’Augusto (21-2 a.C.), il Foro di Vespasiano o della Pace (69-75), il Foro di Domiziano, ultimato da Nerva nel 97, e finalmente con il Foro Traiano (113), ultimato da Adriano (foto 2A, 3A, 11A). Essendo questi Fori contigui, si venne ad attuare in poco più di un secolo un vero piano regolatore, che sistemò in modo grandioso tutta la zona, dalla Basilica di Massenzio all’attuale Piazza SS. Apostoli.
Entro questo complesso monumentale, caduto in abbandono, si annidò un quartiere della Roma medioevale, con le sue chiese, mentre sulle rovine si andava accumulando il terreno. L’opera distruttrice del tempo fu accelerata nel Rinascimento, che dalla zona trasse pietre e marmi per le nuove costruzioni. Così, fino agli inizi del XX secolo dei fori Imperiali non erano visibili, che una parte del Foro Traiano e del Foro di Augusto, e le cosiddette Colonnacce; il resto era interrato, nascosto da costruzioni posteriori, o poco accessibile. Dal 1924, però, per volere dell’allora capo del Governo (Benito Mussolini) sotto la direzione del senatore Corrado Ricci (che aveva presentato il progetto dal 1911 ma senza che questo fosse mai preso in considerazione), si sono compiuti grandiosi lavori, che hanno riportato alla luce i ruderi dei maggiori edifici e condotto, nel 1932-1933, alla demolizione del quartiere interposto e all’apertura della via dell’Impero (oggi dei Fori Imperiali).
Da Piazza Venezia si traversa la zona alberata tra il Vittoriano e il palazzo delle Assicurazioni Generali di Venezia (foto 12A), e si sbocca nel largo del Foro Traiano, ove sorgono, a sinistra le due chiese a cupola, quasi simmetriche, di Santa Maria di Loreto (foto 13A, 17A, 4A) e del Santissimo nome di Maria (1A, 10A, 4A). S. Maria di Loreto fu cominciata nel 1507 da Antonio Sangallo il G. E compiuta nel 1582 da Gioacchino Del Duca, che aggiunse alla cupola la bizzarra lanterna. Sulla porta, Madonna con Bambino di Andrea Sansovino. La chiesa del Santissimo Nome di Maria fu eretta nel 1738, su disegno di Antonio Dériset, dalla confraternita omonima, istituita per la vittoria di Sobieski contro i Turchi (1683; liberazione di Vienna). Di fronte alle chiese, si estendono le rovine del Foro Traiano, l’ultimo e il più grandioso dei Fori Imperiali, opera di Apollodoro di Damasco, architetto imperiale. Constava di una piazza rettangolare di metri 118x89 con l’ingresso sul lato corto opposto a quello dove sorgeva il Tempio di Traiano, ove ora sorgono le due chiese. I lati lunghi, fiancheggiati da portici coperti e sopraelevati, erano collegati alla Basilica Ulpia (foto 16A, le colonne in primo piano e 4A, sullo sfondo davanti alle chiese); tra questa e il Tempio di Traiano sorgevano due biblioteche in mezzo alle quali si innalzava la Colonna Traiana (foto 0A, 10A, 4A) che, giunta a noi quasi intatta, costituisce oggi il monumento più caratteristico dei Fori imperiali. E’ alta metri 42 (il solo fusto metri 29,60), posa sopra un piedistallo ornato di trofei e ha in cima la statua di S. Pietro, che sostituì nel 1587 quella di Traiano. Attorno al fusto, costituito da 18 blocchi di marmo sovrapposti (alti metri 1,50, per un diametro di metri 3,50) si svolge un fregio a spirale (lungo 200 metri ed alto 1 metro) ornato di circa 2500 figure (le principali alte 60-70 cm), che rappresentano gli episodi più salienti delle spedizioni di Traiano contro i Daci (101-103, 107-108). Dai ripiani e dalle terrazze del Tempio di Traiano, dalla Basilica Ulpia e dalle circostanti biblioteche si poteva seguire lo svolgimento dei fatti, rappresentati con uno stile finissimo, reso in origine più evidente dalla dipintura, ora scomparsa.
Le sculture sono discretamente visibili dalla balaustra davanti alle chiese (foto 14A): guardando quasi a metà altezza, si distingue bene la figura di Vittoria, del tipo notissimo detto di Brescia, separante le due serie di rappresentazioni (al Museo Lateranense esistono i calchi in gesso di tutti i rilievi). Dal piano del Foro invece non sono ben visibili che i rilievi del basamento (foto 15A), rappresentanti un affastellamento di armi barbariche e, sul davanti, sopra alla porticina d’ingresso alla cella sepolcrale (dove, in un’urna d’oro, furono riposte le ceneri di Traiano), la magnifica iscrizione che ricorda il taglio della sella (mons) che univa il Campidoglio al Quirinale e occupava la parte anteriore del Foro: Il Senato ed il Popolo Romano (eressero questa colonna) all’Imperatore Cesare Nerva Traiano Augusto figlio del Divino Nerva, Germanico, Danico, Pontefice Massimo, nel XII anno della sua potestà tribunizia, dopo il VI conferimento di imperium padre della patria (cioè l’anno 113) per dimostrare di quanta altezza il monte e il luogo per opere così grandiose sia stato scavato. (Secondo un’altra interpretazione l’iscrizione si riferirebbe alla scala interna, costruita in un secondo tempo: "a dimostrare su quanta altezza sia elevata la morale sepolcrale, locus, su tante opere"). Dall’alto della colonna, che si raggiunge per la scala a chiocciola nell’interno del fusto, vista grandiosa dei Fori Imperiali e del Centro di Roma.
Per una scaletta davanti alla chiesa di Santa Maria di Loreto si scende al piano del Foro. Osservate la colonna e le sculture del basamento, si può andare a vedere il frammento di una delle colossali colonne di granito, con relativo capitello, del Tempio di Traiano. A destra, gli interessantissimi resti di una delle Biblioteche, ben sistemati con un solaio di cemento sotto l’esedra arborea a sinistra di piazza Venezia.
La biblioteca di pianta quasi quadrata aveva le pareti laterali a nicchie rettangolari per gli armadi dei libri (papiri e pergamene), adorni di cornici marmoree e con un prospetto di colonne posto su tre gradini. Dalla biblioteca si può passare alla parte degli scavi della Basilica Ulpia, tutta l’estremità sinistra guardando la colonna, sistemata anch’essa sotto l’esedra. Per aperture nel muro di cinta dello scavo se ne vede la parte centrale, già scavata nel 1812 e si può così avere la visione completa dell’aula centrale, destinata all’amministrazione della giustizia, dalle dimensioni quasi uguali a quelle di S. Paolo fuori le Mura. L’aula era contornata da un doppio colonnato, che divideva la basilica in cinque navate; i lati corti terminavano in due esedre, una delle quali trovasi sotto il palazzo Roccagiovine presso la scalinata di via Magnanapoli. Il colonnato per la maggior parte ricostruito o segnato con le basi della colonne, da un idea dell’insieme: l’aula centrale aveva due ordini di colonne, le inferiori di granito, assai maggiori per altezza e diametro, le superiori in cipollino. La parte posteriore della basilica, verso la colonna Traiana, aveva due porte d’ingresso; la facciata tre. Il pavimento, di marmi policromi, alquanto sopraelevato rispetto al piano del Foro è in parte conservato. Sotto l’esedra arborea è un frammento della trabeazione, con motivo di vittorie sacrificanti e candelabri. In questa parte dello scavo sono anche visibili: un tratto del muro di cinta del Foro, di peperino e bugnato, come quello del Foro di Augusto; frammenti architettonici; basi con epigrafi di personaggi, per lo più del basso Impero; resti della scalea di accesso alla Basilica, con l’epigrafe della dedica del Foro.
Risalita la scala, si gira a destra passando davanti alla chiesa del Nome di Maria e al palazzo Roccagiovine, e si arriva davanti allo scavo del lato NE del Foro, ove sono stati scoperti resti della porticus absidata di destra, che, essendo tutta di marmi preziosi venne rasa al suolo durante le spogliazioni. Davanti sono state trovate basi con resti di iscrizioni onorarie.
Il portico stesso, cui doveva far riscontro un altro verso il Campidoglio, presenta sulla fronte i resti di tre gradini di giallo antico, poi la base del colonnato anteriore, quindi tracce del pavimento, a grandi lastre di marmo policromi. Di cui rimane una colonna di granito a destra del nicchione. Dietro l’abside era il muro di cinta, di peperino e travertino, con la fronte esterna a bugnato, di cui rimane un cospicuo avanzo a sinistra.
In fondo, al di là della strada che costeggia da questa parte il Foro e della quale si è conservato perfettamente il lastricato, si innalza la grande Esedra dei Mercati Traianei, geniale opera probabilmente dello stesso Architetto del Foro, Apollodoro. La monumentale esedra, che spicca nel complesso, abbracciava l’esterno del portico absidato del Foro ed aveva l’ufficio di sostenere il terreno franante del Quirinale, al cui fianco tagliato si appoggiava la costruzione.
L’accesso ai mercati e in via IV Novembre. Per iniziare dal basso la visita dei Mercati, si traversa la grande aula coperta, si scende sulla via Biberatica e si va a sinistra fino in fondo al ripiano, dove una scala scende al 2^ piano delle botteghe; si percorre tutto questo piano verso destra e si scende infine al livello del Foro.
L’emiciclo, che ha all’estremità due sale absidate perfettamente conservate, era a tre piani di botteghe. In quello inferiore, a livello del Foro, graziosi mosaici pavimentali; la quarta bottega a sinistra trovata distrutta, è stata ricostruita di come queste botteghe fossero in origine. All’estremità destra dell’emiciclo è un ampia scala antica che scende dalla via di Campo Carleo, anch’essa antica e seguente l’identico percorso di una via romana fiancheggiata da botteghe. Prendendo a sinistra la via selciata, che girava all’esterno del Foro, si passa presso resti di mura di una chiesa medievale, e si sale per una scala a un corridoio che spinge verso sinistra e sul quale si aprono altre botteghe. Queste avevano luce parte dall’emiciclo e parte da un cortile dietro l’abside minore di sinistra, sopra la volta di un altro ambiente absidato. Alcune di queste ultime botteghe hanno sul centro una cunetta, ove veniva collocato un vaso per ricuperare il liquido che si versava dai recipienti, prova che qui si vendeva olio o vino. Ritornando alla scala, si passa al secondo piano e quindi (sempre rifacendo il cammino percorso nello scendere) al terzo piano, salendo la rampa che sbocca sulla volta a terrazza dell’abside di destra. Le botteghe di questo terzo piano avevano la fronte sulla via Biberatica e le finestre sulla terrazza che costituiva la copertura del secondo piano, pavimentata in opus spicatum coperto di mosaico. Dalla volta dell’abside di destra si ha una veduta sui fori e sulla vicina casa dei Cavalieri di Rodi (foto 2A). Attraverso le rovine delle tabernae del terzo piano si scende sul selciato della via Biberatica che, partendo dal punto ove sorge la Torre del Grillo, passava sotto un arco e giungeva al ciglio del Quirinale. Si prende questa via a sinistra fin sotto la via IV Nobembre, per osservare le grandi costruzioni che la fiancheggiano, tutte di laterizio, col pianterreno occupato da botteghe, le quali conservano in parte, intorno all’ingresso, cornici di travertino (le altre sono rifatte); nei piani superiori, finestre delle tabernae corrispondenti. Dalla via Biberatica si sale alla grande aula, la parte più notevole dei Mercati, di forma rettangolare, con due piani, di 6 botteghe ciascuno, sui due lati lunghi. Sopra il secondo piano è una volta, che fa dell’ambiente una grandissima aula coperta di un tipo finora unico nell’architettura antica: doveva essere un bazar, o una sala di borsa, o di contrattazione. L’edificio, cui nel secolo XVI si sovrappose un convento, è molto ben conservata nel complesso. Verso il Quirinale, una scala, del XVI secolo con tracce di quella originale, sale al 2^ piano, che guarda nell’interno dell’aula coperta, e la 3^ piano, ove sono altre sale, in parte restaurate, con resti del tetto primitivo. Allo stesso piano si trovano inoltre una salone medioevale con due bifore (rifatte sui resti antichi) e una sala con volta affrescata, della metà del XVI secolo. A sinistra della scala si esce sulla volta a terrazza della grande aula, con un’altra fila di botteghe presso il colle: ampio panorama verso il Campidoglio, il Palatino e il Quirinale.
Scendendo di nuovo al secondo piano della grande aula, si ha a sinistra una serie di ambienti separati dagli altri, e che servivano forse per la direzione dei mercati. Notare un’aula absidata e un cortile, con nicchie per statue o per scaffali. Di qui si può passare a visitare i resti del castello Caetani, della fine del XIII secolo, in parte sulle rovine romane e in parte oltre un antica strada; a fianco, una scala che parte dalla Biberatica. Nella parte del palazzo Caetani che dà sulla salita del Grillo sono sistemati gli uffici del vescovo Castrense. In fondo alla salita è la torre del Grillo, eretta nel secolo XIII e passata nel secolo XVII in proprietà ai Marchesi del Grillo, che le aggiunsero il coronamento. A destra della torre, il Palazzo del Grillo, del XVIII secolo, con bella fontana dell’epoca stessa.
Si ridiscende in via IV novembre e, per la scalinata di via Magnanapoli e la piazza del Foro Traiano, si ritorna all’esedra arborea di Piazza Venezia. A sinistra, tra il Foro Traiano e il Vittoriano, si imbocca la via dei Fori Imperiali (foto 12A), grandiosa arteria, lunga 850 metri e larga 30, verdeggiante di pini, fiancheggiata dalle rovine della vasta zona archeologica che attraversa, sullo sfondo della grande curva del Colosseo. Aperta nel 1932, costituisce anche la più diretta via di comunicazione fra il centro e i popolosi quartieri del Celio e di Porta S. Giovanni. Subito a destra, dopo il Vittoriano e la ripida via di S. Pietro in Carcere, che sale al Campidoglio (foto 7A, 9A) si trova la statua in bronzo di Giulio Cesare (dictator perpetuus), riproduzione di quella marmorea in Campidoglio. Dietro alla statua si scoprono le rovine del Foro di Cesare con il Tempio di Venere Genitrice, promesso da Cesare, prima della battaglia di Farsaglia (48 a.C.), alla dea, dalla quale la gente Giulia si vantava di discendere, consacrato nel 46 a.C. e ricostruito da Traiano, sullo stesso basamento. Nel tempio, divenuto un vero museo di opere d’arte, si trovano, tra l’altro, la statua della Dea, dello scultore greco Arcesilao; 2 celebri pitture di Timomaco di Bisanzio (I secolo a.C.), cioè Aiace meditante sul gregge ucciso e Medea combattuta tra la brama della vendetta e l’amore di figli; un ritratto di Cleopatra. Davanti al tempio erano la statua equestre di Cesare e la fontana detta delle Appiadi.
Accanto al tempio sorsero poi al tempo di Traiano, la Basilica Argentaria, cioè dei banchieri, una specie di borsa di Roma antica, e 5 vaste tabernae, sopra le quali Adriano fece costruire una grande forica (specie di albergo diurno) semicircolare. Nel basso impero un arco di trionfo fu addossato al tempio; più tardi nella basilica fu sistemata una chiesetta; pio, tempio e foro sparirono sotto cumuli di terra e case medioevali.
Si scende alle rovine dal lato opposto alla via dei Fori Imperiali, per una scala, presso la chiesa di S. Luca. Si lasciano a sinistra le grandi rovine della forica e si giunge sul piano del Foro, al principio del portico occidentale, rifatto in tarda epoca. A sinistra, le grandi botteghe; in fondo, per alcuni gradini, si sale alla Basilica Argentaria, dai grandi pilastri, restaurata nel III secolo. Della chiesa erettavi resta il pavimento di marmi colorati; nel muro sinistro graffiti, con versi dell’Eneide, l’inizio dell’iscrizione sulla tomba di Virgilio e il nome di un Coecilius Eros, probabilmente il maestro i cui allievi incisero quei graffiti. Nel mezzo del Foro, l’alto basamento del Tempio di Venere Genitrice, spoglio del rivestimento marmoreo, di cui restano poche tracce presso la facciata. Sono state rialzate sul lato lungo occidentale tre colonne che erano cadute verso la basilica Argentaria, sormontate da un elegante cornicione del restauro traianeo forse già cominciato al tempo di Domiziano. Davanti alla Basilica, sono visibili i resti dei piloni di un arco di trionfo del basso impero.
Si passa sul lato sinistro di via dei Fori Imperiali, ove si allineano, davanti ai rispettivi fori, le statue di bronzo (copie moderne) di Traiano, Augusto e Nerva. Al Foro Traiano segue il Foro di Augusto (foto 5A, 6A) eretto a commemorazione della vittoria di Filippi e dedicato a Marte Ultore (cioè vendicatore: a Filippi perirono Cassio e Bruto, i due maggiori uccisori di Cesare). Sullo sfondo dell’alto muro di cinta, si vedono: al centro l’ampia scalea e alcune colonne del tempio di Marte Ultore; ai lati, resti di due basiliche o portici con absidi in fondo; tra queste e il tempio, due scale, che salivano dal Foro alla Suburra; a sinistra la Casa dei Cavalieri di Rodi che caratterizza lo scenografico insieme. Dalla piazzetta del Grillo, una scaletta moderna, tra resti di antiche botteghe, scende a una triplice arcata d’ingresso la Foro. Al di là, per un ampia scalinata originale, in gran parte conservata, si passa al grandioso podio del Tempio di Marte Ultore, poi, per una scaletta di ferro, al piano originario del Foro, lastricato di marmo. Subito a destra, le fondamenta di travertino di uno dei due archi di trionfo, fatti innalzare dal Senato in onore di Druso e di Germanico, rispettivamente figlio e nipote di Tiberio. A sinistra il podio in tufo, già tutto rivestito di grosse lastre di marmo (ne rimane l’ultima), del Tempio di Marte Ultore. Il Tempio era ottastilo, con colonne su tre lati, e divenne luogo di solenni cerimonie, sacrario imperiale e museo di opere d’arte e di cimeli insigni, tra cui la spada di Cesare. Delle otto colonne della fronte, 4 (le 2 mediane e le 2 esterne) sono state in parte ricomposte con antichi frammenti. Si sale l’ampia scalea , del cui rivestimento marmoreo rimangono tracce (ai lati della scalea, resti di basi di gruppi equestri, che avevano davanti un recinto, forse per gli ex-voto); nel mezzo, il nucleo dell’ara (la parte di travertino è un rifacimento moderno, protettivo). Dopo il vasto pronao era la porta della cella, di cui rimangono lo stipite sinistro. La cella era molto larga rispetto alla lunghezza, ma l’effetto era corretto da un duplice colonnato (di cui un capitello di lesena e altri resti, assai belli, sono conservati nella Casa dei Cavalieri di Rodi), lungo le pareti. Si vedono i resti del pavimento marmoreo della cella e, in fondo, la base a gradini (restaurata in travertino) delle statue di Marte e di Venere; dietro si curvava una grande abside. A sinistra si può scendere in un sotterraneo, già creduto l’aerarium, ma riconosciuto per opera medioevale. Dall’area dinanzi al tempio si saliva, lateralmente, per 3 gradini di marmo (ricostruiti in parte coi frammenti originali) a 2 portici absidati, o basiliche, andate interamente distrutte per ricuperare i marmi preziosi che le componevano.
Ogni basilica aveva in fondo una grande abside, ove Augusto fece innalzare le statue dei grandi romani, a cominciare da Enea, con un elogium inciso nel piedistallo di ciascuna. I pavimenti delle basiliche erano di marmi policromi a grandi scomparti geometrici. Tra la basilica di destra e il Tempio di Marte Ultore, ricchissimi avanzi architettonici, caduti dagli edifici circostanti. Dietro questi, fanno un superbo gruppo architettonico le ultime colonne del fianco destro del tempio di Marte Ultore, le sole rimaste erette, e l’Arco dei Pantani, già ingresso del Foro.
La basilica di sinistra aveva in fondo, dietro l’abside (in quest’ultima sono state rialzate le mezze colonne di cipollino e giallo antico che la decoravano) un prolungamento nella Aula del Colosso, sala quadrata che custodiva un simulacro colossale di Augusto, o di Marte. All’ingresso dell’aula sono state rialzate due antiche colonne; le pareti sono ben conservate; il pavimento era a rettangoli marmorei. Notevoli i resti della decorazione parietale a pannelli di marmo (visibili gli incastri tra lesene di pavonazzetto), particolarmente il capitello nell’angolo destro; sotto, bella fascia ornamentale di palmette. In fondo è la base del Colosso, del quale restano le orme dei piedi (7 volte il vero secondo la formula della statua colossale) e due frammenti di mani.
Si attraversa in tutta la sua larghezza il Foro di Augusto e si entra nel Foro di Nerva (foto 6A) o Transitorio così detto perché di passaggio a quello di Vespasiano. Esso non era altro che la sistemazione del primo tratto della via dell’Argiletum, che congiungeva il Foro romano alla Suburra. In mezzo si ergeva il Tempio di Minerva, del quale si vede il poderoso basamento a grandi blocchi. Era ancora in piedi in gran parte al principio del XVII secolo quando fu demolito per ordine di Paolo V per ricavarne i marmi per la Fontana dell’Acqua Paola sul Gianicolo. Al di la del Tempio si vedono due colonne corinzie, le cosiddette Colonnacce, scavate fino alla base, che segnavano l’angolo sud-est del Foro di Nerva e dimostrano la genialità dell’architetto dei Flavi, forse Rabirio. Le due colonne sono così vicine alla parete di cinta del Foro da rendere in prospettiva l’illusione di un portico e dare al Foro, nonostante la sua ristrettezza, un aspetto grandioso. Nell’intercolumnio superstite, si vede in alto una figura di Minerva, ispirata a prototipo scopadeo; nel fregio, Scene di lavori donneschi, i quali erano sotto la protezione di Athena (Minerva) Ergane, e vi figura il mito di Aracne. Davanti alle colonnacce, un tratto dell’Argiletum, con la pavimentazione deterioratissima e resti del cosiddetto Arco di Noè, aperto nella parete di fondo del Foro tra il colonnato e il Tempio di Minerva. A destra del Foro di Nerva si estendeva il Foro della Pace, con il Tempio della Pace eretto da Vespasiano con le spoglie della guerra giudaica. Ne rimangono una cappella o nicchia sotto la Torre dei Conti; le grosse colonne coricate sul lato opposto della via; una grande aula trasformata nella chiesa dei Ss. Cosma e Damiano e resti del pavimento in marmo policromo collegato al Foro Romano, dietro la chiesa suddetta.