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Foro RomanoBack
 
STORIA
I due spiazzi al lato del palazzo senatorio, o meglio ancora le arcate del Tabularium sono il miglior punto panoramico per ricostruire le fasi storiche e la complessa topografia del Foro Romano. Questa prima piazza di Roma antica nacque dal bisogno di incontri e di scambi che conseguì alla aggregazione di nuovi abitanti al villaggio Palatino della “Roma quadrata”; ma essa cominciò presto a servire da indispensabile supporto per lo svolgimento della vita pubblica e per l’esercizio della democrazia. Tutto cominciò nel Comitium, ai piedi del Campidoglio, nell’area parzialmente occupata dalla chiesa dei SS. Luca e Martina; qui vennero collocati anche i rostri, o tribune ornate con i rostri navali tolti agli anziati, dalle quali ci si rivolgeva ai propri concittadini. Venne poi creato uno spazio più ampio e ben delineato da circa 50 m. Di larghezza per 120 di lunghezza fra le basiliche Emilia e Giulia, fra il Campidoglio e L’Atrium Vestae. Tutto attorno stavano i templi, in ordine di antichità: quello appunto di Vesta, quello della Concordia sotto la collina capitolina, il Tempio di Saturno, quello dei Càstori. Il periodo imperiale affastellò costruzioni nel Foro: un Tempio di Cesare e un arco di Augusto, altri templi per Vespasiano, per Antonino Pio, per il giovane Romolo figlio di Massenzio. Questi, poi, allargò lo spazio creando la grandiosa basilica che porta il suo nome o quello del suo rivale Costantino. Vennero aggiunti due archi, uno - quello di Tito - all’inizio della via Sacra che porta al Foro e lo attraversa, l’altro - quello do Settimio Severo - quasi sotto il Campidoglio. Ma si affastellarono altresì nel Foro le statue onorarie, a piedi e a cavallo, gli altari e le colonne finché il Foro non fu più praticabile e si dovette pensare ad altre aree (quelli che furono i Fori costruiti dai vari imperatori a cominciare da Cesare che imperatore veramente non fu, ma che è all’origine della trasformazione imperiale dell’ordinamento romano). L’epoca cristiana portò gradualmente nel Foro gli edifici sacri, a partire dalla chiesetta di S. Martina ricavata in un annesso della Curia, Sede del Senato, nel secolo VI. Seguirono S. Maria Antiqua e S. Maria Nova, i SS. Cosma e Damiano (in un’aula del tempio della Pace di Vespasiano), S. Adriano (nella Curia), S. Lorenzo in Miranda (nel tempio di Antonino). Ma, nonostante questo, la paurosa crisi della città non poteva conservare il ricchissimo prodigio dei Fori. L’abbandono vinse le possenti strutture, l’avidità e la necessità fecero dei marmi materia di esportazione. Il luogo più importante e brillante del mondo si spense in un agreste solitudine nella quale vennero a pascolare gli armenti. Si chiamò Campo Vaccino perché ci si teneva anche il mercato dei bovini. Si ebbe qualche soprassalto di gloria, come quando venne qui trionfalmente ricevuto Carlo V nel 1537; infine arrivò la repubblica giacobina a subissare il luogo di retorica. Ma il periodo napoleonico diede anche il via agli scavi di riscoperta e di studio che si intensificarono nel mezzo secolo successivo fino all’arrivo della capitale. Questa segnò il pieno risveglio del Foro Romano come area archeologica che venne compiutamente scavata, mentre ancora oggi proseguono le indagini negli strati più profondi per arrivare a conoscere le vicende più antiche. Adesso, disseminato delle testimonianze delle varie epoche e dei più disparati periodi della civiltà, il Foro appare come un riassunto della lunga storia romana: il cristianesimo rifulge da S. Francesca Romana sulla maestà imperiale, il luminoso e festoso barocco trabocca dalla chiesa dei SS. Luca e Martina sulla sobrietà della Curia e sul severo allineamento di colonne sbrecciate che sono state rialzate sui podii dei templi: la civiltà umana non dispone di una sintesi più potente.

SUL LUOGO
Su via dei Fori Imperiali è l’ingresso principale al Foro Romano. Si percorre una breve discesa e si volta a destra, dove si stendono i resti della Grandiosa Basilica Emilia, fondata nel 179 a. C. dai censori M. Emilio Lepido e Fulvio Nobiliore, abbellita da M. Emilio Paolo, console nel 78 a.C. e da altri membri della famiglia. Distrutta da un incendio, ricostruita sotto Augusto, restaurata nel III secolo, fu nuovamente devastata da un incendio, del quale rimangono tracce, forse durante il sacco di Alarico (410). Riscoperta nel 1899 è stata interamente liberata. A ovest delle rovine della basilica, al limite del foro, si innalza la facciata diocleziana, in cortina di laterizi, della Curia, ove si riuniva il Senato. Fu fondata, secondo la tradizione, dal re Tullio Ostilio (Curia Hostilia), rifatta da Silla (Curia Cornelia), poi da Cesare (Curia Julia) e infine, dopo l’incendio sotto Carino (283), da Diocleziano (303 c.) ; al tempo di Onorio I venne trasformata in chiesa dedicata a Sant’Adriano. L’esplorazione della Curia, identificata nel 1883 da R. Lanciani, fu iniziata nel 1900 da Giacomo Boni, ripresa nel 1931 sotto la direzione di Alfredo Bartoli, e ultimata nel 1937, demolendo interamente la chiesa di Sant’Adriano e ripristinando l’antico edificio. La facciata ha ripreso così l’aspetto primitivo. La porta è una copia dell’originale, tolta dal Borromini e messa in opera in S. Giovanni in Laterano. L’interno è costituito da un’unica sala rettangolare ; sui due lati, tre bassi ripiani rivestiti di marmi rari per i seggi dei senatori (le votazioni si facevano per seccessionem : i favorevoli da una parte, i contrari dall’altra) ; un ripiano per la presidenza e un piedistallo per il simulacro della vittoria, causa di famose contese alla fine del IV secolo, tra senatori pagani e cristiani. Due porte si aprono nella parete di fondo, tre nicchie su ciascun lato. L’aula, che aveva la capacità di 300 posti, continuò a servire per le adunanze anche quando, nel VII secolo fu trasformata in chiesa, fino a che, nel XII secolo si dovette rialzare il pavimento prima di tre metri, più tardi di altri tre metri, e nel secolo XVII ancora di un metro. La curia aveva alcune dipendenze : la principale era la segreteria, unito alla Curia da un portico, Atrium Minervae, distrutto nella seconda metà del XVI secolo, quando già sul Secretarium era stata eretta la chiesa di Santa Martina. Dietro la Curia, era il Chalcidium, cortile rettangolare porticato, per il ricevimento degli ambasciatori. Dinnanzi alla Curia si stende il Comitium, il piazzale ove si tennero le riunioni elettorali del popolo, finché Cesare, quando cambio l’orientazione del foro non destinò loro un luogo più adatto del Campo Marzio. Sotto il pavimento di travertino sono resti del comizio repubblicano di tufo e il fondamento semicircolare dei rostri antichi, che furono da Cesare trasferiti sulla nuova piazza del foro. Provvisoriamente sono stati messi in riparo nella Curia i plutei di Traiano, i due grandiosi parapetti scolpiti che pare decorassero la tribuna dei Rostra. Le facce ove i bassorilievi sono più grandi erano quelle rivolte verso il foro, e quindi destinate ad essere viste più da lontano di quelle rivolte verso la piattaforma dei Rostra. Di fronte alla Curia, sul lato opposto del Comitium, una bassa tettoia ripara un complesso di monumenti antichissimi, la cosiddetta tomba di Romolo, scoperta nel 1899 dal Boni. Alla superficie è una lastra quadrata di marmo nero. Sotto, scendendo una scaletta, si vedono due basi di tufo modinate, che dovevano sostenere due leoni accovacciati e appartengono a una antica costruzione, probabilmente funebre. A destra, dietro un cono di tufo, un frammento di piramide con un’iscrizione bustrofeda (cioè scritta da sinistra a destra e da destra a sinistra) a grossi caratteri arcaici : è probabilmente una lex sacra, cioè un divieto di profanazione del luogo, ed è la più antica iscrizione latina che si conosca, forse risalente al periodo regio. L’insieme porta tracce di devastazione, forse di quella che ebbe luogo durante l’invasione gallica del 387 a.C. Il lapis niger fu posto in occasione della trasformazione del foro sotto Giulio Cesare, per segnare il luogo venerato e considerato dalla tradizione come tomba di Romolo o di Faustolo o di Osto Ostilio.
A ovest si innalza grandioso l’arco di Settimio Severo, a tre arcate comunicanti, eretto nel decimo anniversario dell’ascesa al trono di Settimio Severo (203). Durante il medioevo fu incorporato in altri edifici e a ciò si deve il suo buon stato di conservazione.
A destra dell’arco, la base della statua equestre dell’imperatore Costanzo, innalzata nel 353 da Nerazio Ceriale, prefetto di Roma. A sinistra dell’arco, i Rostra, piattaforma alta circa 3 metri, lunga 24, larga 12, sostenuta da un muro di blocchi di tufo, completata dal Boni. Era la tribuna degli oratori, qui trasportata dal Pomitium allorché Cesare nel 44 a.C. sistemò il foro.
Di fronte ai Rostra si estende la PIAZZA DEL FORO, quasi rettangolare (metri 120 x 50), con lastricato di travertino, di età augustea, e i resti di interessanti monumenti. Volgendo le spalle ai Rostra, e procedendo lungo l’asse del foro, si trova a destra la colonna di Foca, eretta nel 608 da Smaragdo, esarca d’Italia all’imperatore d’Oriente Foca. A sinistra, una balaustra circonda il terreno ove sorgevano il fico sacro, l’ulivo e la vite simbolici. Accanto erano stati collocati provvisoriamente i plutei di Traiano, ora nella Curia. Dietro la colonna di Foca, dopo il Lacus Curtius, sulla destra si vede il nucleo del basamento della colossale statua equestre di Domiziano, eretta dopo la vittoria dell’imperatore sui Germani (91). Sul margine destro della piazza del foro si allineano sette basi di laterizi, già rivestiti di marmi, del tempio di Diocleziano ; sulle prime due sono state ricomposte due colossali colonne di granito e di pavonazzetto con i frammenti scoperti nel 1873. Sulla destra delle sette basi, corre il lastricato a selci poligonali della Sacra via, che traversa il foro da est a ovest, ed ebbe nome dai santuari che la fiancheggiavano e dalle processioni che la percorrevano. Al di là della via sacra limita il lato sud del foro la Basilica Giulia, eretta da Giulio Cesare (55-44 a.C.) al posto della vecchia Basilica Sempronia, finita da Augusto e dedicata alla famiglia imperiale Giulia. Serviva all’amministrazione della giustizia e vi si riunivano i centumviri. Dopo l’incendio sotto Carino (284), fu restaurata da Diocleziano, poi da Vettio Probiano.
All’angolo NO della basilica, l’incontro della Sacra via col vicus jugarius, è un grosso fondamento di calcestruzzo, ritenuto base dell’arco di Tiberio, innalzato nel 16 in onore di Germanico che vendicò Varo sconfiggendo i Germani. Verso ovest si vede una serie di archetti di tufo, costruiti in opus quasi reticulatum, per contenere la spinta del soprastante Clivo Capitolino. Al di là del Vicus Jugarius si innalza, grandioso sull’alto podio, il tempio di Saturno, di cui rimangono otto colonne di granito (6 di fronte e due nei fianchi) a fusto liscio e capitello ionico con architrave.
Si riattraversa nella sua lunghezza la piazza del foro : ad est, al di là della Sacra via, i resti del tempio di Giulio Cesare, eretto da Ottaviano nel 29 a.C. in onore del divino Giulio, sul luogo ove (19 o 20 marzo 44 a.C.) era stato cremato il corpo di Cesare e Marc’Antonio ne aveva letto il celebre testamento. A destra del tempio il basamento dell’arco di Augusto, a tre fornici, eretto o nel 29 a.C. in seguito alla vittoria Azio, oppure nel 19 a.C. dopo il ricupero delle insegne dai Parti. A destra dell’arco di Augusto, sull’asse della Basilica Giulia, e diviso da questa dal Vicus Tuscus sorge il tempio di Castore e Polluce, o dei dioscuri o dei castori o di Castore, eretto nel 484 a.C. dal figlio del dittatore Aulo Postumio, per sciogliere il voto fatto dal padre ai dioscuri prima della battaglia del lago Regillo contro i latini e i tarquini (496 a.C.).
Ma le memorie più antiche dei dioscuri sono conservate al di là della strada che fiancheggia a est il tempio, nel vicino Lagus Juturnae : una vasca quadrilatera a gradini, con un nucleo centrale di forma rettangolare. A sinistra della fonte, un tratto della Nuova Via, che sale in direzione est verso l’altura della Velia, è interrotto dall’oratorio dei Quaranta Martiri edificio del basso impero, absidato, decorato da affreschi rovinatissimi dell’8-9 secolo, rappresentanti il supplizio dei martiri di Sebaste. A sinistra dell’oratorio, in uno dei punti più pittoreschi e appartati degli scavi, si trova la chiesa di Santa Maria Antiqua, trasformazione di un edificio imperiale che doveva far parte dei locali di accesso alla costruzione di Domiziano sul Palatino alle quali lo collegava una rampa. E’ il più importante e il più antico edificio cristiano del foro. La consacrazione a Maria avvenne nel VI secolo o forse prima. Papa Giovanni VII (705-707) lo restaurò e decorò gli affreschi. Papa Zaccharia (741-752) e Paolo I (757-767) l’abbellirono, poi a cagione dei danni prodotti dai terremoti e dalle frane e forse anche dai saraceni, Leone IV trasportò la diaconia a Santa Maria Nova. Sulle rovine della chiesa abbandonata nel XIII secolo sorse, a un livello più alto, Santa Maria Liberatrice, rifatta nel XVIII secolo, e, per essere priva di valore artistico, demolita nel 1901-1902, per mettere in luce gli avanzi della chiesa sottostante. Si ritorna all’arco di Augusto e si prosegue verso est. A sinistra le fondamenta della Regia, secondo la tradizione casa di Numa Pompilio, poi residenza del Pontefice Massimo, distrutta da un incendio nel 36 a.C. e ricostruita dal pontefice Gneo Domizio Calvino. A questa costruzione appartengono i ruderi di stile più raffinato ; gli altri ad una costruzione posteriore, fatta da Settimio Severo.
Di fronte alla Regia si stendono a destra le rovine del tempio e della Casa delle Vestali, le vergini custodi del fuoco sacro a Vesta, riunite in un collegio di sei sacerdotesse, fondato, secondo la tradizione da Numa Pompilio. Il tempio, circolare, in origine di paglia e vimini, ebbe tutta una serie di ricostruzioni, l’ultima sotto Settimio Severo, dopo un incendio del 191. Chiuso da Teodosio nel 394, esso andò in rovina nel secolo VII. Le parti rinvenute (il basamento circolare e alcuni frammenti dell’ultima ricostruzione) sono state parzialmente completate dal Bartoli nel 1930. Era un perittero corinzio a 20 colonne ; nell’interno vi era soltanto il focolare per cui l’edificio più che un tempio era una aedes, trasformazione della circolare capanna preistorica. Lo spegnersi della sacra fiamma era ritenuto segno di sventura per Roma e la vestale responsabile veniva flagellata dal Pontefice. Nel pavimento si vede la fossa in cui si raccoglievano i resti del fuoco e dei sacrifici, che ogni anno, il 15 giugno, venivano portati in processione e gettati nel Tevere.
Proseguendo lungo la fronte della Reggia, si ritrova la Sacra via. Quasi di fronte, la grandiosa facciata del tempio di Antonino e Faustina, eretto per decreto del senato alla divinizzata moglie di Antonino Pio (morta nel 141), e dedicatole con iscrizione : Divae Faustinae ex senatus consulto. Dopo la morte di Antonino (161) il tempio fu dedicato anche a lui, premettendo all’iscrizione le parole : Divo Antonino et. E’ un edificio prostilo esastilo corinzio, con ossatura di peperino. Il podio è conservato per intero, ma la gradinata è quasi interamente di restauro ; magnifiche le 10 colonne (6 di fronte e 2 in ciascun risvolto) monolitiche, alte 17 metri di cipollino. Le basi e i capitelli sono di marmo bianco come pure la ricca trabeazione (il timpano fu abbattuto nel XIV secolo per restaurare coi marmi il Laterano) ; nei fianchi il celebre fregio a grifi e candelabri, uno dei più bei saggi dell’arte decorativa romana, e che si prolunga sopra i muri della cella, già rivestiti di marmo bianco. Nell’XI secolo, il tempio, compreso il pronao, fu trasformato nella chiesa di San Lorenzo in Miranda, cosiddetta perché in mezzo alle meraviglie del foro oppure dal nome della fondatrice di un annesso monastero. Ma nel 1536, in occasione della visita di Carlo V, fu abbattuta per rendere visibile il portico. Nel 1602 fu rifatta, occupando la sola cella più la sopraelevazione della facciata.
A destra del tempio, sotto un tettoia, un angolo dell’interessantissima necropoli arcaica (sepulcretum), cimitero delle popolazioni dei pendii dell’Esquilino e della città primitiva del Palatino. Segue il piccolo sotterraneo di una casa repubblicana quindi, ove la Sacra via comincia a salire sulla Velia, sempre a sinistra una rotonda comunemente identificata con il tempio del divo Romolo, eretto da Massenzio in onore di suo figlio Romolo morto fanciullo nel 307 e divinizzato. Probabilmente ancora incompiuto quando Massenzio rimase ucciso a Ponte Milvio (312), il tempio fu finito da Costantino e, secondo alcuni, dedicato alla sacra Urbs Roma. Ripresa la Sacra via, si lasciano a sinistra le colossali rovine della Basilica di Massenzio o di Costantino e la chiesa di Santa Francesca Romana, si giunge sull’alto della Velia : a destra l’arco di Tito a sinistra il convento di Santa Francesca Romana. Rifatto nel secolo XIII poi ampliato dagli Olivetani, che vi fondarono una ricca biblioteca, e divenuto fiorente centro di studi, (vi soggiorno più volte anche Torquato Tasso), fu quasi tutto indemaniato nel 1873. Restaurato nel 1900 da Giacomo Boni, è oggi sede dell’ufficio degli scavi del Foro Romano e Palatino e dell’Antiquarium Forense o Museo del Foro.
Sull’alto della Velia, alla sommità della Sacra via, sorge l’Arco di Tito, eretto al tempo di Domiziano (o di Traiano) per ricordare le vittorie riportate sui Giudei da Vespasiano e poi da suo figlio Tito e culminate con la distruzione di Gerusalemme (nel 70), come indica l’epigrafe nel lato esterno : Senatus Populusque Romanus divo Tito divi Vespasiani filio Vespasiano Augusto. Incorporato durante il medioevo nelle fortezze dei Frangipane e in parte rovinato, fu isolato parzialmente sotto Sisto IV e totalmente nel 1821 dal Valadier, che ne completò in travertino le parti mancanti.
Dall’Arco di Tito si prende a destra il Clivus Palatinus, si volta poi subito a destra e per una gradinata, si sale sul Palatino.

RIEPILOGO DEI MONUMENTI DEL FORO

CURIA - Spogliandolo delle strutture della chiesa di S. Adriano, è stato ritrovato, negli anni trenta, l’aspetto dato da Domiziano alla sede del Senato costruita da Cesare (in luogo della Curia Hostilia che si era incendiata) e completata da Augusto. Presso la Curia si trova il Lapis Niger scoperto nel 1899, un monumento arcaico nel quale si è voluto vedere la tomba di Romolo. Davanti all’Arco di Settimio Severo sono gli antichi Rostri.

LUCA E MARTINA - Alla fine del 1500 l’Accademia di S. Luca sovrappose la sua chiesa a quella originaria di S. Martina, unendo i due nomi. La costruzione, ottimo originale esempio di barocco, opera di Pietro da Cortona che vi lavorò dal 1632 alla morte, nel 1666. Sul corpo della chiesa a pianta greca si eleva un alto tamburo ottagonale che regge la bella cupola con agile lanternino. L’edificio attiguo venne demolito negli anni trenta.

BASILICA EMILIA - Porta il nome della famiglia i cui membri ne curarono la costruzione (179 a. C.) e l’abbellimento. Serviva per riunioni politiche e per l’amministrazione della giustizia. Vi erano anche botteghe. Simmetrica a questa, dall’altro lato del Foro stava la Basilica Giulia che Cesare eresse sul posto della Sempronia.

TEMPIO DI SATURNO - E’ uno dei più antichi della Roma repubblicana; vi si conservava il tesoro dello Stato (perciò era detto "Aerarium"). Le sei gigantesche colonne ioniche appartengono ad un rifacimento del IV secolo d.C.. Questa zona è stata ricongiunta con quella sotto il Campidoglio dove sono le tre colonne del Tempio di Vespasiano, tracce del Tempio della Concordia (367 a.C.) e il Portico degli Dei consenti.

ARCO DI SETTIMIO SEVERO - Venne eretto nel 203 in onore di Settimio Severo e dei suoi figli Geta e Caracalla per celebrarne le vittorie sui barbari. La Via Sacra, che prima volgeva verso la Basilica Giulia, venne proseguita fin qui e immessa sul Clivio Capitolino (altre importanti vie del Foro erano il Vicus Tuscus e l’Argileto).

TEMPIO DI CASTORE E POLLUCE - Restano tre alte colonne del tempio costruito fin dal 484 a.C. e rifatto da Tiberio per ricordare che, secondo la leggenda, i due vennero qui, dov’era la fonte di Giuturna ad abbeverare i cavalli, dopo la battaglia del lago Regillo.

TEMPIO DI VESTA - Di remotissima origine, si lega alla concezione religiosa della romanità. Vie era custodito il fuoco sacro vigilato dalle Vestali che vivevano nel vicino Atrium Vestae.

TEMPIO DI ANTONIO E FAUSTINA - Dedicato nel 161 alla coppia imperiale, venne trasformato in chiesa cristiana dedicata a S. Lorenzo, il martire più venerato in Roma, e ricevette il titolo di "in Miranda", forse da una fondatrice della chiesa. Dal 1450 appartiene alla confraternita degli speziali.

COSMA E DAMIANO - I due Santi medici ebbero nel VI secolo questa chiesa ricavata in un’aula del Foro della Pace di Vespasiano. L’accesso fu ricavato nel rotondo Tempio di Romolo, dedicato da Massenzio al figlio premorto. Su una parete esterna del convento era applicata la famosa Forma Urbis, pianta marmorea della città di epoca imperiale. Nell’interno, i rifacimenti settecenteschi della chiesa non hanno toccato i bei mosaici dell’abside fatti eseguire da Papa Felice agli inizi del secolo VI. Nel convento è in mostra un eccezionale Presepe napoletano.

BASILICA DI MASSENZIO - Impostata da Massenzio nel 306 e completata da Costantino, è l’ultima delle grandi basiliche classiche. Venne collocata sull’altura della Velia, demolendo precedenti costruzioni e misurava m. 80 per 60. Ci resta attualmente la grande sala absidata della navata destra. E’ superstite anche una delle 8 colossali colonne utilizzate da Paolo V davanti a S. Maria Maggiore.

TEMPIO DI VENERE E ROMA - Costeggiando il lato destro della Chiesa di Santa Francesca Romana si arriva sull’alto della Velia, trasformato in una grande terrazza (metri 141x100) da costruzioni artificiali. Vi sorgono i resti del Tempio di Venere e Roma originale e grandiosa costruzione iniziata da Antonino Pio, restaurata da Massenzio. Il Tempio, che riuscì il più grande di Roma, fu costruito sul vestibolo della Domus Aurea di Nerone, previo spostamento del celebre colosso che lo decorava. L’edificio era doppio, cioè formato da due celle absidate a ridosso l’una dell’altra; quella dedicata alla Dea Roma era volta verso il Foro; quella dedicata a Venere (madre di Enea, l’eroe mitico, dal cui stanziamento nel Lazio sarebbe derivata Roma) era volta verso il Colosseo. Era, perciò, un Tempio anfiprostilio, vale a dire con due atri (o facciate) a colonne corinzie, e periptero, cioè con intorno un portico di 150 colonne. Nel VII secolo le tegole di bronzo dorato del tetto furono adoprate per la Basilica di S. Pietro. Delle Celle rimane quasi intera quella di Roma (entro l’area dell’Antiquarium Forense) e parte di quella di Venere. Nel 1935 si rimisero apposto i frammenti rimasti delle colonne, e si segnarono con piante di ligustro le colonne mancanti, con siepi di bosco i gradini, con lauri le pareti.