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Si ridiscende nella via di S. Gregorio, che segue il tracciato dell’antica via Triumphalis, incassata tra Celio e Palatino e percorsa un tempo dai cortei trionfali. La via proviene, da destra, dall’Arco di Costantino e termina a sinistra sulla piazza di Porta Capena, vasta spianata aperta tra le propaggini del Celio a Est, del Palatino a Nord, dell’Aventino ad Ovest. A destra gli scavi del Circo Massimo; a sinistra , La Vignola, casino porticato del XV-XVI secolo, già sull’altro lato della Piazza e qui ricostruito nel 1911. In mezzo alla piazza, l’obelisco d’Axum, del IV secolo, uno dei tanti che si trovano nella città santa d’Etiopia, portato a Roma nel 1937. Oltre l’obelisco, tra il Celio a sinistra e il piccolo Aventino a destra, si stende il Parco di Porta Capena, già Passeggiata Archeologica, aperto dopo il 1910, in base al principio, sostenuto tenacemente da Guido Baccelli, Ministro della Pubblica Istruzione nel 1887, di isolare tra il verde della vegetazione i maggiori ruderi antichi (in questo caso, le Terme di Caracalla). A sinistra, resti dell’antica Porta Capena, dalla quale aveva inizio il primo tratto della via Appia che, dopo la costruzione della cinta aureliana, divenne il tratto urbano della via Appia Antica, poi porta San Sebastiano. A questo percorso corrispondono oggi viale Guido Baccelli che attraversa il Parco, e, più avanti, la via di Porta San Sebastiano. A destra la via di S. Balbina, antica chiesa sorta nella casa del consoile L. Fabio Cilone e ripristinata nel 1930 dal Munoz. La bassa facciata, preceduta da una breve scalinata e da un ampio portico, è fiancheggiata dall’ex convento. Interno rettangolare chiuso in fondo dall’abside; grandi finestre centinate; sei nicchie, alternativamente quadrate e semicircolari, lungo i lati: in queste, durante i restauri, sono stati trovati affreschi del IX-XIV secolo. A destra dell’ingresso, sepolcro del cardinale Stefano Suardi, di Giovanni di Cosma (1303). Nel mezzo è stata ripristinata la schola cantorum. In una cappella di destra, Crocifisso fra Maria e S. Giovanni, bassorilievo di Mino da Fiesole o Giovanni Dalmata, qui trasportato nel 1650 da S. Pietro in Vaticano. Dietro l’altare maggiore sedia episcopale cosmatesca. Si percorre il viale e a destra, dopo lo Stadio delle Terme, si giunge alle terme di Caracalla o Antoniniane, ciclopico complesso di ruderi che forma una delle più interessanti visioni di Roma antica e delle più pittoresche per il contrasto di colori tra le mura infuocate dal sole, la vegetazione e il cielo. Cominciate da Settimio Severo nel 206, inaugurate dal figlio Antonino Caracalla nel 217 e compiute dai successori Elagabalo e Alessandro Severo, restaurate da Aureliano, erano le più splendide di Roma. Erano ancora in uso nel VI secolo, quando furono danneggiate dall’invasione gotica e rese inutilizzabili per la distruzione degli impianti idrici, di una straordinaria perfezione. La loro pianta seguiva la regola classica stabilita per questi edifici nel II secolo dell’Impero: un gran corpo di fabbrica centrale, circondato da giardini sparsi di edifici vari e cinti da mura perimetrali. Occupavano uno spazio quadrato di 330 metri di lato; il palazzo centrale misurava m. 220x114. L’ingresso si apriva sulla via Nova, parallela all’Appia. Si entra direttamente nel Frigidarium, immenso salone rettangolare occupato quasi per intero dalla piscina; i lati corti comunicavano con gli apodyteria, sale per gli olii e le sabbiature. Al di là del Frigidarium e parallelo ad esso, si apre il Tepidarium, altro immenso salone, collegato alle estremità, per mezzo di esedre rovesciate, con le grandiose Palestre, disposte trasversalmente al Tepidarium e al Frigidarium. A metà del lato lungo del Tepidarium, per un secondo Tepidarium, o Cella media, assai più piccolo, si passa nel Calidarium, salone semicircolare di metri 35 di diametro, in gran parte diruto e interrato. Ai lati, e attorno alle Palestre, numerose sale, rettangolari o absidate, per la ginnastica o per i servizi. Al di là della vasta spianata, di fronte al Calidarium, le rovine dello Stadio, fiancheggiato da biblioteche; a destra ed a sinistra, resti di esedre, portici e sale varie.Si crede che lo stabilimento contenesse bagni singoli e vasche in comune per un complesso di 1600 bagnanti alla volta. Ammirevoli la struttura laterizia e l’audacia e novità delle forme architettoniche, alcuni particolari escogitati per la destinazione dei locali e i sistemi di riscaldamento. Oltre ad essere tutte rivestite di marmi policromi e di metalli, animati da getti d’acqua, queste Terme avevano una decorazione scultorea delle più sfarzose: i più celebri marmi della collezione Farnese (nel Museo Nazionale di Napoli), provengono di qui: l’Ercole di Glicone, il gruppo del Toro Farnese, la Flora, ecc.; come pure i grandi mosaici atletici del Museo Lateranense. Sul posto non rimane delle decorazioni che qualche frammento architettonico; notare il gusto baroccodell’introduzione di elementi figurati in mezzo a una rigogliosa decorazione floreale. All’angolo NO si può visitare parte dei vastissimi locali sotterranei delle Terme, già adibiti a vari usi, tornati in luce negli scavi del 1911. In uno dei sotterranei fu edificato un mitreo simile a molti altri scoperti in Roma ma notevole per la sua integrità.
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