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Il CelioBack
 
Dalla piazza Venezia, percorrendo la via dei Fori Imperiali, si giunge al piazzale del Colosseo, chiuso a destra, al di là dell’Arco di Costantino dal Monte Celio (m 51), il più vasto dei sette colli classici di Roma. Si chiamava in antico Mons Querquetulanus dalle querce che lo ricoprivano; avrebbe preso il nome di Coelius dal capo etrusco Celio Vibena che vi si installò, prima che il colle fosse occupato da Roma e Tullio Ostilio vi collocasse gli Albani vinti. Divenne in seguito uno dei quartieri più aristocratici della città, sede di numerosi templi e, per la sua vicinanza al Palatino e all’Oppio, fu anche invaso dalle costruzioni neroniane; la sua importanza non diminuì anche nell’alto medioevo, per la vicinanza del Laterano. Gli incendi e le devastazioni seguite alla presa di Roma per opera di Roberto il Guiscardo (1084) lo ridussero un cumulo di macerie; da allora il Celio rimase semideserto, con pochi edifici quasi tutti religiosi, sparsi fra la fitta vegetazione. Oggi questo suo aspetto è di poco mutato, malgrado una certa ripresa edilizia posteriore al 1890 ed esso rimane il meno abitato, ma forse il più suggestivo dei colli romani.
Si attraversa il piazzale del Colosseo e si prende a destra la via Claudia, che costeggia a destra imponenti costruzioni del tempio di Claudio, costruito da Agrippina e da lei dedicato al suo secondo marito; fu trasformato in un ninfeo da Nerone e rifatto sontuosamente da Vespasiano . Si giunge nella piazza della Navicella, sulla vetta del Celio; a sinistra la via Celimontana e il grande ospedale militare del Celio, costruendo il quale si trovò una sontuosa casa romana ritenuta di Simmaco. A destra al numero 4 bel portale con cornice marmorea a tutto tondo, unico resto di un ospedale dei Trinitari annesso alla chiesa di S. Tommaso in Formis (l’attuale edificio è del XVII sec., con abside medievale funzionante da sacrestia). Sopra il portale, Gesù fra due schiavi uno bianco e uno nero, bel mosaico cosmatesco (circa 1218), alludente all’ordine dei Trinitari, fondato nel 1198, per il riscatto dei prigionieri, da S. Giovanni di Matha, che morì in quest’ospedale nel 1213.
Quasi di fronte al portale, a sinistra di un grande rudere di acquedotto, si apre la via di S. Stefano Rotondo. Qui al n. 7, è l’ingresso alla spianata ove sorge S. Stefano Rotondo, una delle più antiche chiese a pianta circolare d’Italia, eretta probabilmente nel secolo V e consacrata da Papa Simplicio. In origine era formata da 3 navate anulari concentriche, separate da due giri di colonne e intersecate dalle quattro braccia di una croce greca, sporgenti all’esterno; Innocenzo II aggiunse il portichetto d’ingresso a 3 arcate trasversali (tuttora esistenti), utilizzando colonne antiche per rinforzare la volta pericolante. Nicolò V, in un restauro completo della chiesa (1450), eliminò l’anello maggiore e 2 dei bracci a croce greca, riducendola da 65 a 40 metri di diametro.
Alcuni la ritengono invece una trasformazione del Macellum Magnum neroniano, opera del IV secolo sfruttando il tholus, edificio a cupola, centro del mercato; la qualità dei materiali da costruzione, che sarebbero decisamente posteriori all’età neroniana, porta a scartare tale ipotesi. Dal portico su 4 colonne si entra nel vestibolo interno, formato da uno dei 2 bracci superstiti della croce greca; si passa quindi nella navata circolare sostenuta da 34 colonne antiche di granito e marmo inserite nel muro e limitata da altre 20 colonne libere verso centro, ove, entro un recinto esagonale, è l’altare, semplicissimo. Subito a sinistra seggio episcopale detto di S. Gregorio Magno; ancora a sinistra, più avanti, un altro braccio della croce greca, trasformato nella cappella dei Ss. Primo e Feliciano, ove, in una piccola abside, è un mosaico del VII secolo (Cristo non crocifisso, ma sovrapposto alla croce in un medaglione, secondo un antico schema iconografico. Segue la cappella di S. Stefano re d’Ungheria, con un sepolcro del principio del XVI secolo. Tutt’intorno alla pareti della chiesa, Martirologio, 34 grandi affreschi del Pomarancio e del Tempesti, piuttosto ripugnanti per la rappresentazione d’atrocità inflitte ai martiri cristiani.
Si ritorna il piazza della Navicella e si va a sinistra, al di la del rudere, ove zampilla la graziosa Fontana della Navicella, in marmo, fatta eseguire da Leone X sul modello di una più antica, probabile ex voto a Iside (la protettrice dei Naviganti, spodestata da Maria "Maris Stella") di soldati non italici, che avevano in questi pressi il quartiere (Castra Peregrina). Di fronte, la chiesa di S. Maria in Domnica, prima diaconia romana, eretta secondo una tradizione, sulla casa di S. Ciriaca, matrona romana del III secolo; fu rifatta nel secolo IX da Pasquale I, rinnovata al principio del secolo XVI da Leone X, restaurata nel 1820. Il nome proviene dall’appellativo "dominicium" dato nei primi secoli ai luoghi di culto cristiani. Elegante facciata rinascimentale preceduta da un ampio portico, attribuito al Peruzzi. A sinistra della chiesa il grandioso portale d’ingresso (già nella Villa Massimi) della villa Celimontana (Villa Mattei), creata nel 1582, oggi Parco Pubblico. Ricopre tutte le pendici occidentali del Celio con i suoi prati e la sua lussureggiante vegetazione di conifere, palme, lecci e allori, formanti gallerie. Dal quadrivio fronteggiante l’ingresso, si va a sinistra a un obelisco, proveniente probabilmente dal santuario di Iside Capitolina, per lungo tempo ai piedi della scalinata dell’Aracoeli e nel 1582 donato dal senato a Ciriaco Mattei. A destra dell’obelisco si giunge a un belvedere, con bello scorcio panoramico sulle terme di Caracalla.
Si ritorna al portale dei Trinitari, e si riprende a sinistra la via di S. Paolo della Croce, passando sotto l’Arco dei Consoli Dolabella e Silano, grande fornice di travertino costruito nell’anno 10 per sostegno dei condotti dell’Acqua Marcia e poi Claudia. La via corre incassata tra muri e sbocca nella piazza dei Ss Giovanni e Paolo: in basso, la chiesa dei Ss Giovanni e Paolo, un titolo esistente già al principio del V secolo. Sarebbe stata edificata nel 398 dal senatore Bizante e da suo figlio Pammachio sulla casa dei santi titolari, cortigiani di Giuliano l’Apostata e martiri per suo ordine (in realtà l’identità dei titolari rimane oscura e si è perfino dubitato della loro esistenza). Fu costruita da Adriano IV (1154-1159), al quale risalgono le parti più antiche della chiesa attuale: il portico (con iscrizione del tempo su otto colonne antiche, di cui 6 a capitelli ionici sotto il lungo cornicione, il portale con i due leoni ai lati, l’abside e il bel campanile romanico, eretto su massi quadrati, ancora visibili, dal Tempio di Claudio.
Durante i lavori eseguiti nel 1949 per iniziativa ed a spese del cardinale Spelmann, è riapparso sulla facciata il colonnato d’accesso del V secolo (notevoli i pulvini sovrapposti ai capitelli). Più in alto è stata liberata completamente una pentafora (pure del V secolo) con le colonne di supporto. I lavori s’erano iniziati al fine di liberare il portico dalle soprastrutture che si ritenevano aggiunte nel secolo XVIII: invece si sono trovati resti dell’alto medioevo. Altri avanzi del Tempio di Claudio sono visibili nel contiguo convento, ove si conserva una tavola di scuola umbro-romana della fine del secolo XV.
L’interno basilicale, diviso in tre navate da pilastri affiancati da colonne, fu rinnovato da Antonio Canevari, per ordine del Cardinale Paolucci (1718); il soffitto è dovuto al cardinale Ag. Cusano (1598); il pavimento fu restaurato nel 1911. Sotto l’altare maggiore reliquie dei Ss titolari. Nella navata detta, 3^ cappella, di S. Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti, ai quali è affidata la chiesa. E’ a croce greca, su disegno di Filippo Martinucci (1857-1880), con affreschi e tele di Francesco Coghetti e di Francesco Grandi. In fondo alla navata, cappelle di S. Gabriele dell’Addolorata, con affreschi di G. B. Conti (1920). Abside affrescata dal Pomarancio.
Subito dopo si scende nei sotterranei, scoperti nel 1887, raro esempio rimastoci di casa romana a due piani. Si tratta di circa 20 locali spettanti a 3 edifici riuniti: un palazzo romano, una casa cristiana ed un oratorio. Molti ambienti conservano avanzi di affreschi ornamentali del II e III secolo dell’Impero (notare a destra della scala Nozze di Peleo e di Teti; nel triclinio, un grazioso fregio pagano di eleganti geni che sostengono ghirlande di fiori alternati con pavoni e uccelli) e importanti affreschi cristiani con i consueti simboli: il pesce (emblema di cristo), la colomba (l’anima che aspira a volare in cielo) il vaso di latte (l’Eucaristia) con le due pecore (fedeli), ai lati, le capre all’albero (il gregge presso Gesù, albero della vita). In uno degli ambienti rimasti accessibili fino all’alto medioevo, affresco bizantino con Cristo e i martiri Giovanni e Paolo con angeli. Nel piccolo oratorio che sorge sul luogo indicato dalla tradizione come quello del martirio dei Santi: la tenda (il Paradiso), dinanzi alla quale prega forse uno di essi; a sinistra la donna che porta profumi al luogo santo; a destra i 3 santi ricercatori (Crispo, Crispiniano e Benedetta) che attendono con occhi bendati la decapitazione (prima riproduzione di un martirio). Nel tablinum grande figura di orante in piedi con le braccia aperte e gli occhi al cielo, così come pregavano i primi cristiani. S’interpreta come l’anima salva che prega per i rimanenti sulla terra, o la chiesa per il suo gregge, o la Madonna che implora per l’umanità (Advocata nostra). Nella ben conservata cantina, vasi e anfore con segni cristiani; nel piano più basso la camera da bagno.
Si scende per la via dei Ss Giovanni e Paolo, l’antico Clivus Scauri, passando sotto 6 contrafforti della chiesa (dopo l’ultimo, una lapide ricorda che ivi nel 1887 si scoprì la casa dei due martiri) e un arco: da qui si può vedere l’esterno dell’abside della chiesa, con elegantissima galleria, uno dei pochi lavori in stile lombardo in Roma. Si sbocca ai piedi della chiesa di S. Gregorio Magno. Questo Pontefice, di distinta famiglia romana, dalla quale era già uscito Papa Felice III, aveva trasformato, prima della sua elezione, la propria casa in un monastero, con annessa una chiesa, o piuttosto un oratorio, dedicato a S. Andrea Apostolo. Nell’alto Medio Evo sorse al suo posto una chiesa dedicata al santo pontefice. Essa fu completamente rinnovata all’esterno (scalinata, facciata e atrio quadrangolare) da G. B. Soria (1633); all’interno da Francesco Ferrari (1734).
Si sale la scalinata e si attraversa l’atrio, il cui lato di fronte con portico a colonne binate, è della fine del secolo XVI; il resto, del XVII, a pilastri. A sinistra dell’ingresso, le tombe di Rob. Pecham ed Edoardo Carne, due dignitari della corte di Enrico VIII (il secondo, m. nel 1561, inviato del re per la questione del divorzio dalla prima moglie Caterina d’Aragona). Nel lato della chiesa, il monumento del canonico Lelio Guidiccioni (m. 1643), ricavato da un sepolcro del principio del secolo XVI, che si disse tomba della celebre cortigiana Imperia; di contro, l’elegante monumento dei fratelli Bonsi, di L. Capponi (fine XV o principio XVI secolo), che riprese qui l’uso antico dei ritratti entro nicchie circolari.
INTERNO basilicale a tre navate divise da 16 colonne antiche a fianco di Pilastri, e decorato da stucchi . (1725-34). Pavimento musivo restaurato nel 1745. Nella volta, Gloria dei Ss. Gregorio e Romualdo, di Placido Costanzi (1727). In fondo alla navata destra, altare di S. Gregorio: paliotto con 3 fini bassorilievi rappresentanti fatti del pontefice, opera dl L. Capponi (fine XV secolo); nella predella, S. Michele atterra Lucifero; gli Apostoli; i Ss. Antonio Abate e Sebastiano, pitture coeve di scuola umbra, con influssi signorelliani. A destra della cappella, la Stanza di S. Gregorio, con la sua sedia episcopale e il gradino su cui avrebbe dormito. All’altare maggiore, Madonna e i Ss. Andrea e Gregorio, di Antonio Balestra. Nella cappella a sinistra dell’alt. maggiore, busto di Gregorio XVI, che fu abate dell’annesso monastero.
Dalla navata sinistra si passa nella Cappella. Salviati di Francesco da Volterra e Carlo Maderno (c. 1600), con decorazioni di G. B. Ricci. Sull’altare destro, l’antichissima Madonna che è tradizione parlasse a S. Gregorio; alla parete sinistra, altare marmoreo della scuola di Andrea Bregno (1469); la parte centrale e il fregio sono probabilmente dello stesso Andrea. Nel 2° altare sinistro, Madonna e 4 beati della famiglia Gabrielli, di Pompeo Batoni.
Dal portico della chiesa si passa nel pittoresco piazzale già cimitero dei benedettini (rimangono cipressi), a cui si accede per un portico sorretto da quattro colonne antiche: sulla destra, resti di mura dell’epoca imperiale, e, in fondo, tre cappelle.
La mediana, di S. Andrea, è forse l’oratorio primitivo di S. Gregorio. In essa, a destra, Flagellazione di S. Andrea, affreschi del Domenichino; a sinistra, il Santo condotto al supplizio, del Reni (la contadina a sinistra riproduce il tipo detto di Beatrice Cenci). All’altare, Madonna del Pomarancio. Nella cappella destra, di S. Silvia, madre di S. Gregorio, nella tazza dell’abside, Concerto d’angeli, del Reni (1608), vivace e suggestivo. La statua della Santa è di Nicola Cordier. Nella cappella sinistra, di S. Barbara o del Triclinio, è la grande tavola di pietra (a piedi antichi), alla quale S. Gregorio serviva personalmente il pranzo a 12 poveri: 2 versi ricordano l’angelo che, secondo una leggenda, fece un giorno da 13° commensale. All’altare, bella statua di S. Gregorio, di Nicola Cordier. Alle pareti: S. Gregorio consegna i Vangeli a S. Agostino, 1° arcivescovo di Canterbury, e ai benedettini; Apparizione dell’Angelo alla mensa; Elezione di Probo ad abate; Gli schiavi inglesi, affresco di Antonio Viviani (1602).
Si scende nella via di S. Gregorio, che segue il tracciato dell’antica via Triumphalis, incassata tra Celio e Palatino e percorsa un tempo dai cortei trionfali. La via proviene, da destra, dall’arco di Costantino e termina a sinistra sulla piazza del Circo Massimo, vasta spianata aperta tra le propaggini del Celio ad Est, del Palatino a Nord, dell’Aventino ad Ovest. A destra gli scavi del Circo Massimo; a sinistra La Vignola, casino porticato del XV-XVI secolo, già sull’altro lato della piazza e qui ricostruito nel 1911. In mezzo alla piazza, l’obelisco d’Axum, del IV secolo, uno dei tanti che si trovavano nella città santa d’Etiopia, portato a Roma nel 1937.